Vince il «Made in Italy»
Il film del rocker-regista in testa al box office. «Ho dato voce alla gente perbene che non molla»
Ligabue: il cinismo? Un modo facile per arrendersi Accorsi: raccontiamo chi fa la fila senza lamentarsi
«Se ti serve chiamami MILANO scemo, ma io almeno credo», cantava Ligabue nel 2000. E da allora non sembra che si sia allontanato più di tanto da quell’idea. Anche a costo di essere considerato poco trendy, anche a costo di prendersi la «patente di sfigato». Ma evidentemente non sono pochi quelli che apprezzano questo modo guardare il mondo, visto che Made in
Italy (prodotto da Fandango e distribuito da Medusa), il nuovo film del rocker di Correggio, nel primo weekend di programmazione è balzato subito in testa al box office portando a casa un risultato non scontato: in quattro giorni ha incassato 1.411.655 euro grazie ai 203.279 spettatori che hanno riempito le sale per questo ritorno di Ligabue dietro la macchina da presa.
Voglia di regia che l’autore di Certe notti ha soddisfatto richiamando accanto a se Stefano Accorsi (nei panni di Riko), l’attore che nel 1998 accompagnò al successo Radiofreccia, il primo film di Ligabue diventato ormai un cult. In Radiofreccia c’erano i miti del rock’n’roll, la rabbia dei ragazzi, il tentativo di costruirsi il proprio destino. In Made in Italy c’è invece la voglia di riprendersi la vita malgrado tutte le difficoltà. In Radiofreccia... «il protagonista fa una morte da cliché del rock — interviene Ligabue per tratteggiare la differenza tra le due sceneggiature —. In Made in Italy c’è un percorso di vita di persone ultraquarantenni che hanno vissuto per tanti anni la vita concreta, quella fatta di bollette da pagare, di stipendi da portare a casa ogni mese, di conti da far tornare. Ma soprattutto c’è la testardaggine di gente perbene che hanno deciso di rimanere tali nonostante le avversità, specialmente in questo Paese in cui l’essere perbene non paga così tanto».
Sintetizzato così sembra essere un film ottimista, dove regna soprattutto la voglia di non mollare: una storia coraggiosa? «Se tener botta, se resistere, se affrontare il quotidiano in maniera normale e allo stesso tempo eroica è coraggioso, allora direi di sì — argomenta Luciano —. Nella realtà credo che siano molte di più di quanto non pensiamo le persone che vivono la vita come quella che raccontiamo nel film. Che ahimè non hanno molta voce in capitolo perché non sono interessanti, se non da un punto di vista statistico. So benissimo che è molto più cool essere nichilisti. Però continuo a pensare che il cinismo sia un modo facile per arrendersi. E se è da sfigati continuare a credere in un valore come la speranza, allora mi prendo la patente di sfigato». Due film, due epoche: in
Radiofreccia Ivan Benassi (Accorsi) aveva un buco dentro e la voglia di scappare da un borgo di ventimila abitanti. In Made in Italy Riko (sposato con Sara, interpretata da Kasia Smutniak) si affida alle parole di Cesare Pavese per dise re che un Paese ci vuole, un Paese vuol dire non essere soli. Sentimenti opposti che oggi condivide anche Accorsi? «Io sono andato via, mi è capitato tante volte, ma mi sono sempre sentito legato alle mie radici. Stando all’estero non mi sono mai sentito così italiano, anche quando vivevo in Francia. Sì, sono d’accordo con entrambi i punti di vista: per me è stato importante andare via, sapendo però che potevo tornare». Sono passati 20 anni da
Radiofreccia: da allora è cambiato il modo di percepire la realtà e certi ideali sono finiti in soffitta. Nel 2001 Giorgio Gaber cantava: «La mia generazione ha visto le strade, le piazze gremite di gente appassionata sicura di ridare un senso alla propria vita. Ma ormai son tutte co- del secolo scorso, la mia generazione ha perso». Versi che i protagonisti di Made in
Italy condividono? «No — è netto Ligabue —. Innanzi tutto perché il concetto di generazione non mi è mai piaciuto più di tanto: non rispetta l’unicità di ognuno dal momento che accomuna tutti quanti semplicemente perché si è nati più o meno negli stessi anni. E in secondo luogo perché Riko e gli altri del film credono in certi valori, vogliono fare il proprio dovere a testa alta e vanno avanti con il sorriso sognando il futuro».
«Con tutto il rispetto per Gaber — riprende Accorsi — la trovo persino presuntuosa come affermazione. Nel senso che investire anche gli altri, tutta la società di un fallimento personale è un problema che si pongono certe persone che hanno vissuto determinate esperienze. Altre invece preferiscono guardare avanti in modo positivo. E in questo film raccontiamo chi fa la fila senza lamentarsi».
Riko e i suoi amici credono in certi valori, vogliono fare il proprio dovere e vanno avanti con il sorriso sognando il futuro Ligabue