SMARTPHONE IN CLASSE: GLI ECCESSI DIGITALI INVESTONO I RAGAZZI
Mentre la Francia (su impulso del presidente Macron e del ministro Blanquer), assieme ad altri Paesi europei, resiste alle «sirene» dello smartphone in classe, l’Italia spalanca le porte al dispositivo. Per gli esperti nominati dal Miur, è necessario educare i giovani a usare lo strumento. E per farlo, i docenti avranno a disposizione un «decalogo». Si continua a pensare, insomma, che siano le tecnologie digitali a fare di una scuola una «scuola moderna». Al numero esagerato e preoccupante (come testimoniano molti studiosi) di ore già dedicate ai videogiochi, alla navigazione in internet, alla tv, alle relazioni virtuali intrecciate su Facebook, su Twitter e su WhatsApp, adesso i giovani aggiungeranno anche le ore destinate a seguire una lezione in aula. Per curare la «dipendenza», insomma, è meglio somministrare ulteriori «dosi» di materiale digitale. Così la scuola — tutta tesa verso il «mercato» — anziché formare giovani capaci di resistere agli imperativi del consumismo, della velocità, del virtuale, del superficiale, preparerà futuri clienti entusiasti e acritici. Al propagarsi della «buona notizia» sui giornali e nel web, c’è stato anche qualche solerte docente pronto a dichiarare che WhatsApp o Twitter potranno essere preziosi per avvicinare gli allievi alla letteratura. Come se la comprensione di Dante o di Montale, prima di passare da uno smartphone, non avesse bisogno di lentezza, di concentrazione e di competenze linguistiche che proprio la velocità sta uccidendo. Il pharmakon diventa veleno. Aumentare i «buoni professori», ridurre il numero di studenti per classe, mantenere i 5 anni, far capire che si va a scuola per diventare migliori e non solo per imparare un mestiere: piccole scelte di buon senso per «disintossicare» i nostri studenti.