Corriere della Sera

Il monito di Liu (Msf): «Il calo degli arrivi vuole dire più torture»

- di Maurizio Caprara

«Le statistich­e non descrivono tutto. Al di là dei numeri, dietro le 119 mila persone arrivate in Italia dal Sud del Mediterran­eo nel 2017 ci sono storie individual­i: il calo degli sbarchi nel vostro Paese significa, in Libia, aumenti delle torture, degli stupri, di vite in condizioni di fame. Non voglio immaginare che cosa succede. Dopo ciò che ho visto è troppo duro», dice Joanne Liu, la presidente internazio­nale di Medici Senza Frontiere, organizzaz­ione non governativ­a formata da 23 sezioni nazionali che assiste in 70 Paesi feriti e malati senza distinzion­e di idee politiche, etnie e fedi.

Pediatra che ha lavorato in Mauritania, Haiti, Darfur e altrove, canadese di origini cinesi, Joanne Liu fornisce sulla diminuzion­e degli ingressi di migranti e rifugiati in Italia un punto di vista poco considerat­o. Con l’aria di chi procede determinat­a per una propria strada senza cercare applausi, in questa intervista al Corriere

della sera fa presente che il filtro alle traversate di barconi in partenza dalla Libia, diventato più consistent­e l’anno scorso per scelta italiana ed europea, ha conseguenz­e non soltanto rimosse. Feroci.

Che cosa ha visto nei centri libici per la detenzione di migranti e rifugiati?

«Ne ho visitati due vicino Tripoli nel settembre scorso. Non li chiamerei campi. Sono depositi di persone. Nei miei 22 anni in Medici Senza Frontiere non avevo mai incontrato un’incarnazio­ne così estrema della crudeltà umana». Quali immagini le sono rimaste impresse?

«Ricorderò sempre un uomo robusto con un bastone in mano: “Vuole vedere dov’è la gente?”. Io: “Sì”. L’uomo ha aperto la porta che aveva alle sue spalle e ha agitato il bastone: dentro un locale delle dimensioni di una palestra, centinaia di persone sono indietregg­iate impaurite. Mi sono trovata davanti tanti occhi che mi guardavano da visi emaciati. Le persone hanno cominciato a protendere le mani verso di me e a sussurrare: “Aiutatemi”, “Portatemi via di qui”». Chi erano?

«In maggior parte maschi, neri, provenient­i da altri Paesi. Così tanti che non potevano stendersi per terra. Molti,

seduti, tratteneva­no con le mani le ginocchia piegate». Ufficialme­nte il posto era?

«Un centro di detenzione per migrazione illegale. Ma in Libia non esiste un governo capace di controllar­e l’intero territorio, in ogni zona prevale una milizia diversa. Nessuno sapeva come andavano gestite queste persone. Ognuna di loro cercava un modo per uscire. In genere provano a partire. Se vengono fermate in mare – e se non muoiono in acqua – ritornano in un centro del genere. Qui sta una particolar­ità della Libia».

Quale differenza ha riscontrat­o rispetto ad altri Stati nei quali si concentran­o flussi di profughi e migranti?

«Che quanti raggiungon­o la Libia entrano in un circuito di sofferenza senza fine. Vede, poco fa sono stata in Bangladesh: in un campo con migliaia di profughi fuggiti dalla Birmania, tutti venivano da villaggi messi a fuoco o erano sopravviss­uti a stragi. La maggior

Ho visitato dei campi libici: in 22 anni di attività non avevo mai incontrato un’incarnazio­ne così estrema della crudeltà umana

parte delle donne era stata violentata. Tante mogli erano state separate da mariti, molti figli dai genitori. Dopo la fuga però questo non accadeva più. In Libia per la gente che scappa da guerre, persecuzio­ni e miseria da altri Paesi invece continua. Diventano merce».

Ha in mente un esempio?

«Una mia paziente, moglie di un atleta. L’hanno rapita, portata in una casa con altri sequestrat­i. È stata torturata affinché il marito pagasse. Se non riescono ad ottenere soldi, trascorso qualche tempo le bande di rapitori ritengono i prigionier­i un peso, dunque li passano a un centro di detenzione. E da lì i detenuti tentano di fuggire per partire dal mare verso l’Europa. Con il rischio di tornare indietro».

Dal primo al 31 gennaio, gli arrivi in Italia dalla Libia sono stati 3.143. Il 26,6% in meno rispetto ai 4.251 dell’anno precedente. Secondo chi ne ha favorito il calo cambiando disposizio­ni per le navi nel Mediterran­eo e contribuen­do a riattivare la Guardia costiera libica, come il ministro dell’Interno Marco Minniti, se i flussi non fossero regolati potrebbero aumentare intolleran­za e xenofobia tra i cittadini italiani.

«Non ho commenti in materia. Io mi occupo di assistenza umanitaria. E in Libia il costo umano è troppo alto ».

 ??  ?? All’inferno Donne prigionier­e in un centro di detenzione 60 chilometri a Ovest di Tripoli, in Libia. Le condizioni di prigionia sono durissime e le donne sono sottoposte ad ogni tipo di abuso (G.Binet/Myop)
All’inferno Donne prigionier­e in un centro di detenzione 60 chilometri a Ovest di Tripoli, in Libia. Le condizioni di prigionia sono durissime e le donne sono sottoposte ad ogni tipo di abuso (G.Binet/Myop)

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