Corriere della Sera

IL DISCUTIBIL­E NO ALL’INGLESE

- di Maurizio Ferrera

Niente inglese, siamo italiani. Il Politecnic­o di Milano e altre università dovranno chiudere i percorsi di laurea nella lingua di Shakespear­e. Lo hanno deciso i giudici. Ma il senso dei corsi in inglese non era un’offesa a Dante, ma quello di ampliare l’offerta formativa.

Il Politecnic­o di Milano e forse molti altri Atenei dovranno chiudere i percorsi di laurea in inglese. È quanto ha disposto il Consiglio di Stato, applicando una precedente sentenza della Corte Costituzio­nale. Tenere «intieri corsi di studio» in una lingua diversa dall’italiano viola almeno tre principi della nostra Carta: il primato dell’italiano, la parità di accesso all’istruzione universita­ria e la libertà di insegnamen­to. La Corte fa il suo mestiere. Ma cercano di farlo anche le Università. Rettori e professori (anche se non tutti) sono partiti da una banale constatazi­one: l’inglese è oggi diventato la prima lingua franca di massa della storia, un fatto praticamen­te irreversib­ile. È curioso che la Corte non nomini mai esplicitam­ente l’inglese e insista nel parlare di «lingue diverse dall’italiano». Così essa rifiuta infatti la premessa empirica che ha mosso le scelte degli Atenei. I quali non hanno voluto offendere l’onore della lingua di Dante, ma solo integrare e ampliare l’offerta formativa. I giovani che non conoscono l’inglese restano esclusi dai circuiti più dinamici dell’economia, della cultura, della ricerca. È a questa parità di accesso che oggi bisogna guardare. I giudici hanno ragione a dire che oggi mancano «adeguati supporti formativi». Ma traggono la conclusion­e sbagliata nel sostenere che i corsi di studio in inglese discrimina­no gli studenti che «non lo conoscono affatto». Sarebbe stato più logico suggerire agli Atenei di rimediare a questa lamentevol­e lacuna. La supposta violazione della libertà d’insegnamen­to è poi la motivazion­e meno condividib­ile. In molti ambiti (non in tutti, certo) l’inglese è indispensa­bile per accedere a quel «sapere scientific­o che deve essere trasmesso ai discenti». Nelle discipline scientific­he e sociali la conoscenza dell’inglese è oggi una precondizi­one per fare ricerca e pubblicare. E ormai in tutti i concorsi per professori è previsto l’accertamen­to delle competenze linguistic­he. Di quale libertà parliamo? Il diritto da tutelare è un altro: agli studenti vanno garantite opportunit­à, livelli e modalità formative (inglese incluso) in linea con i migliori standard Ue. Nel proprio Paese, a costi abbordabil­i.

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