Se rispunta in tribunale il fantasma dell’autarchia
Evissero felici e contenti, rinchiusi nella Penisola a doppia mandata. In pieno 2018, mentre il mondo ragiona in termini di cultura globale, l’Italia ripiomba nell’autarchia. Un incubo normativo burocratico rischia di impedire la futura nomina di direttori stranieri nelle nostre istituzioni culturali. Potrebbe diventare impossibile, ai non italiani, prendere il posto dei direttori «stranieri» che stanno producendo eccellenti frutti. Gli Uffizi diretti da Eike Schmidt hanno chiuso il 2017 con un più 10,40% dei visitatori grazie a mostre certo non commerciali come quella sui 500 anni della Riforma protestante. Alla Pinacoteca di Brera, l’anglocanadese James Bradburne si sta impegnando nel restauro di palazzo Citterio per le collezioni di arte moderna. Tutto questo potrebbe sparire se il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, dovesse stabilire che le norme sull’obbligo di «italianità» per i dirigenti pubblici (Dpcm 174 del 1994) annullano le nuove regole varate dal ministro Franceschini. Chi scommetterà più su un bando internazionale del Belpaese sapendo che un Tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato potrebbero rimandarlo a casa? Paola Antonelli cura il Dipartimento Architettura e Design del Moma di New York, Francesco Stocchi guida il Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, Francesco Manacorda pilota la V-A-C Foundation a Mosca dopo aver diretto la Tate Liverpool. Nessuno di loro teme per il proprio futuro professionale: nessun giudice locale si sogna di attentare alla loro carriera. In Italia la furia da protezionismo, tra gli applausi di chi non accetta per dogma alcuna riforma, vince su ogni tentativo di innovare e guardare al mondo. Non si tratta di essere pro o contro Franceschini, è un punto poco interessante. Successe anche ad Alberto Ronchey nel lontano 1994: venne attaccato duramente, e volgarmente, perché tentò di allineare l’offerta museale alle realtà internazionali. Sono in tanti ad avere nostalgia dei musei riservati alla Casta degli studiosi e che considerano fruizione e valorizzazione come un attentato alla sacralità del Bene Culturale. Magari troveranno un alleato nel Consiglio di Stato e così si tornerà alla auto-rassicurante, ridicola «certificazione di italianità» per poter dirigere un museo di questo nostro strano Paese.