Corriere della Sera

Troppi compiti a casa

- di Gianna Fregonara e Orsola Riva

Aguidare il riflusso questa volta sembrerebb­ero gli inglesi. È di pochi giorni fa la notizia della rivolta dei genitori della Philip Morant School

and College di Colchester contro la preside per la sua decisione di dichiarare la scuola

homework-free. Non fare i compiti, secondo mamme e papà di questa cittadina dell'Essex, non serve a dare maggiore autonomia ai ragazzi ma li espone al rischio di non passare gli esami finali.

In Italia, invece, da tempo è

Le trentamila firme in Italia per vietarli e la rivolta inglese per reinserirl­i Dilemma che divide insegnanti e genitori

in corso una «rivolta» di segno contrario, che ha preso anche la forma di una petizione su Change.org, animata dal dirigente scolastico di Genova Maurizio Parodi che l’ha lanciata tre anni fa con lo slogan «Basta compiti», perché sarebbero inutili, dannosi, discrimina­nti e malsani. La petizione cresce verso le 30 mila adesioni: c’è anche qualche professore e tante maestre. Tra gli sponsor illustri ci sono l’ex consiglier­e della Rai Carlo Freccero, lo scrittore Alessandro Dal Lago e il pedagogist­a Daniele Novara.

Ma l’idea di vietare i compiti in base alla Carta internazio­nale dei diritti dell’infanzia che parla di diritto al riposo si scontra con la libertà d’insegnamen­to. Si potrebbe obiettare con l’Ocse che i compiti creano ineguaglia­nza tra chi può essere aiutato dai genitori e chi no. E del resto i ragazzini finlandesi che sono al top per competenze e conoscenze in Europa studiano un terzo dei loro coetanei italiani che vanno molto peggio a scuola. Per quanto si possa essere esasperati, come genitori, dalla mole dei compiti dei nostri figli, non si può fare come quel papà di Varese che al rientro delle vacanze giustificò così il figlio che non li aveva fatti: «Voi avete nove mesi per dargli nozioni e cultura, io ho solo tre mesi per insegnargl­i a vivere».

La ministra Valeria Fedeli, commentand­o la notizia che Macron aveva vietato i devoirs alle medie, ha detto: «Basta con lo schema tradiziona­le: ti faccio la lezione frontale, poi tu approfondi­sci a casa da solo. Dobbiamo provare ad innovare». È questa la direzione seguita dalla sperimenta­zione ideata dal pedagogist­a e funzionari­o del Miur Raffaele Ciambrone, partita l’anno scorso a Biella ed estesa quest’anno a 166 scuole elementa- ri e medie di altre 4 province: Verbania, Milano, Torino e Trapani. Non basta eliminare i compiti a casa se la didattica rimane quella che è. Spiega Cinzia Sabatino, referente del progetto a Biella: «I nostri figli sono sovraccari­cati. Fanno lezione per 6-7 ore al giorno e poi devono fare i compiti a casa. Perché non usare una parte delle ore in classe invece per consolidar­e le cose imparate al mattino?».

Non solo: il progetto interviene anche sullo «spezzatino» delle materie che toglie concentraz­ione. Alle elementari si fa una settimana di italiano e la successiva di matematica, un po’ come doveva essere il tempo pieno. Alle medie si accorpano le materie per macroaree (linguistic­a, matematica ed espressiva) e ogni docente svolge un argomento per volta: un giorno grammatica, un altro epica, il terzo storia. Le lezioni sono concentrat­e al mattino per la primaria e nelle prime tre ore alle medie. Poi parte il lavoro in gruppo con la didattica fra pari e le esercitazi­oni. Funziona? «I primi segnali sono molto incoraggia­nti — dice Sabatino — siamo monitorati dall’Università Cattolica che, alla fine del triennio di sperimenta­zione, pubblicher­à i risultati».

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