Corriere della Sera

Il Giorno della Memoria onora anche loro

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Caro Aldo, a proposito della lettera «Perché degli Imi non si parla mai» penso che la ragione stia, purtroppo, nella ormai diffusa abitudine di non ripubblica­re, nel Giorno della Memoria, il testo della legge che istituisce in Italia l’esistenza e la osservanza di quel Giorno. Ecco i due passaggi essenziali: «Art. 1: La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio “Giorno della Memoria” al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, gli italiani che hanno subito la deportazio­ne, la prigionia, la morte, e coloro che, anche in campi e schieramen­ti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno protetto i perseguita­ti. Art. 2 : Nel “Giorno della Memoria” sono organizzat­e cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti (...) su quanto accaduto al popolo ebraico, e ai deportati militari e politici nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo nella storia del nostro Paese (...)». Il lettore di questa pagina converrà che non c’è stato, e non poteva esserci, il vuoto che lui ha temuto.

Furio Colombo

Grazie per tenere accesa la fiaccola in ricordo degli Imi. Quando la mia generazion­e sarà sparita, chi ricorderà il nome del Capitano Ernesto Bellinzona, mio padre, o del tenente Ernesto Meriggi, suo fraterno compagno di prigionia. Entrambi fatti prigionier­i a Belgrado dopo l’8 settembre 1943, trasferiti su carro di bestiame in Polonia e liberati nel 1945 dalle truppe americane. Chi ricorderà che i militari italiani, nei campi di concentram­ento, si scavavano le fosse in cui i loro cadaveri sarebbero caduti dopo la fucilazion­e, a meno che un improvviso ripensamen­to dei loro aguzzini arrivasse a salvare loro la vita. Durante un interrogat­orio di «selezione» mio padre si salvò perché, conoscendo perfettame­nte il tedesco, corresse il traduttore che aveva travisato le risposte di mio padre condannand­olo a morte prematura.

Giuseppe Bellinzona

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