Velluti, borchie, specchi con un occhio da cinema Tutte le manie di Mollino
A Torino le foto del grande architetto e designer Oltre alle case, le sue passioni: dalle auto alle donne
Ispirazioni Amava i rally e il volo acrobatico. Dall’elica di un aereo nacquero le posate aerodinamiche
Casa D’Errico 1937, casa Miller 1940, casa Devalle 1941, studio Fazzari 1941 (solo il progetto), casa Ada Minola 1946 e casa Franca Minola 1947, casa Rivetti 1949, casa Orengo 1949: gli interni domestici di Carlo Mollino si giocano tutti in un arco di 12 anni. E sono documentati da una serie di immagini scattate dallo stesso architetto che, tra le altre cose era anche appassionato di fotografia. Molti di questi scatti sono raccolti nella mostra «L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934-1973» al Camera di Torino, e aiutano a capire la personalità, le sfaccettature di un personaggio tra i più geniali ma anche tra i più enigmatici dell’architettura italiana.
Gli interni di Mollino mostravano forti influenze rococò, surrealiste, futuriste e, spesso, anche kitsch, molto prima che questa corrente venisse teorizzata da Gillo Dorfles. Negli appartamenti molliniani non mancano velluti, ottoni, borchie, specchi e cristalli dalle forme sinuose, divani dal capitonné esagerato e poi tendaggi (di velluto gommato, come quelli dei cinema) verdi (in casa Orengo), blu (in casa Rivetti), quasi una sorta di sipario per la rappresentazione del quotidiano.
In casa Devalle l’architetto si spinge a mettere una tenda alla tenda, a dimostrazione che Mollino usa gli strati a sfogliamento di piani per controllare la luce, come si fa in fotografia. Ma osservando le foto degli interni scattate in pianosequenza si viene come proiettati in quegli spazi, quasi stratificati da una serie di quinte in successione che servono a far emergere l’evento, la sorpresa, il super-oggetto senza che venga toccata più di tanto la «scatola» muraria, spesso molto banale. Specchi, ombre e gigantografie dilatano lo spazio, lo deformano, lo «piegano» in un continuo straniamento. Gli ambienti fluiscono uno nell’altro come nel montaggio di una pellicola, in dissolvenza. O in sovraimpressione. E qui si capisce perché le case di Mollino erano fatte per essere fotografate: si modificano a seconda di luce e posizione dell’obiettivo.
Nella rassegna torinese, però, non ci sono solo le foto di interni ma sono rappresentate tutte le passioni di Mollino (e sono numerose, sempre documentate da numerosi scatti) come i viaggi, in Giappone, in America, in Romania, in Grecia o in India: tutti effettuati con le fide Leica o Rolleiflex al seguito, per realizzare una sorta di taccuino visuale, dalle case di legno rumene ai grattacieli americani, dai templi buddisti alla Chandigarth, la città governativa progettata da Le Corbusier. E poi lo sci (Mollino era diventato maestro nel 1942) e aveva scritto un libro di tecnica, «Introduzione al discesismo», un’opera di oltre 300 pagine con 200 fotografie (68 scattate dallo stesso autore, di un perfezionismo maniacale) e 212 disegni, tutti di suo pugno.
E non mancano le immagini sulla velocità, sulle sue automobili. Mollino vinse il rally del Sestriere nel 1955 e nello stesso anno partecipò alla 24 Ore di Le Mans come pilota di riserva con un bolide aerodinamico da lui progettato. Qua e là compaiono anche le sue vetture, Osca, Lancia, Alfa Romeo, Ferrari. Naturalmente, ci sono anche gli aerei. Nel 1956 Mollino ottenne il brevetto e dopo 7 apparecchi e 3 incidenti si dedicò al volo acrobatico, partecipando a importanti competizioni in Italia e soprattutto all’estero. Da questa passione nasce, ad esempio, la serie di posate per Reed & Barton ispirate all’elica di un aeroplano. Anche in questo caso le immagini esposte rivelano aerei a terra, in volo, con o senza persone e vedute dall’alto.
E infine, le donne di Mollino: amiche, committenti, modelle, signorine della Torinobene e meno bene, tutte ritratte in pose per nulla improvvisate, spesso provocanti. Raramente posano su uno sfondo neutro, spesso interagiscono con ciò che le circonda: abitano uno spazio. Davanti all’obiettivo, per Mollino tutto doveva essere pianificato a tavolino, dagli scenari alle luci, dalla postura all’abbigliamento, che acquistava per corrispondenza nei negozi parigini di frivolités. Nel corso degli anni, dalle immagini scattate nelle case da lui progettate si è passati a quelle prese a villa Zaira, un edificio in collina che, dal 1962, era diventato esclusivamente set fotografico, con ambientazioni organizzate come vere e proprie scene teatrali.
Poi, grazie all’avvento della Polaroid, più o meno nello stesso periodo, dal bianco e nero era passato al colore. Quella dei ritratti femminili è, probabilmente, l’attività fotografica più ampia mai realizzata da Mollino, senza alcun vincolo né di tempo né di risorse. Un lavoro destinato a restare segreto ma che, paradossalmente, ha fornito le immagini più note dell’attività dell’artista.