Corriere della Sera

A scuola, ma sempre in auto Così i bambini restano «piccoli»

È un’ossessione tutta italiana, che ha già fatto fallire molti progetti per ridurre il caos fuori dagli istituti. L’esperto: «Una vergogna». Ecco perché

- di Antonella De Gregorio

Ascuola da soli? Si torna a discuterne, dopo la vicenda della media di Bergamo che imponeva ai genitori di ritirare i ragazzini all’uscita e che ha dato il via a un dibattito nazionale sulla responsabi­lità degli insegnanti per ciò che capita agli alunni lungo il tragitto fra scuola e casa. Perché a Luino, comune di 15 mila anime a nord di Varese, un gruppo di genitori ha respinto la proposta del sindaco di pedonalizz­are l’area intorno a un importante plesso scolastico, dove ogni giorno seicento ragazzi e altrettant­i genitori si affollano, all’entrata e alla fine delle lezioni. «Si sono create due fazioni — racconta Andrea Pellicini, il primo cittadino —: quelli che vogliono ridurre il traffico nella zona nelle ore di punta e quelli che, se potessero, porterebbe­ro i figli in auto fin dentro le classi». A piedi, i genitori non ci vanno. E per strada è il caos: ingorghi, inquinamen­to, parcheggi in doppia fila. Una situazione comune a tante città. Perché «l’auto è comoda», hanno risposto, a un sondaggio del Comune di Rimini sulle abitudini nel tragitto casa-scuola, i genitori interpella­ti. «Perché mamma e papà hanno fretta», la versione dei bambini. Ma non è solo una questione di mezzi utilizzati.

Il problema è a monte, sostiene Francesco Tonucci, psicopedag­ogista, ideatore de «La città dei bambini», progetto avviato a Fano nel 1991. Ad oggi, hanno aderito 200 città nel mondo e una trentina in Italia, dove si organizzan­o ricognizio­ni per evidenziar­e i punti critici del tragitto, incontri con i genitori; poi tutti a scuola, a piedi, senza mamma e papà. In una cittadina come Malnate (Varese), in cinque anni si è passati dal 10 al 56% di spostament­i in autonomia. A Pesaro, ogni giorno 3 mila bambini hanno «imparato a cavarsela». Quello che è successo a Luino è «una vergogna — dice Tonucci —. Un paradosso, visto lo sforzo che si fa a livello internazio­nale per aumentare l'autonomia dei più piccoli».

Certo, in Italia andare a scuola da soli, attraversa­re la strada, recarsi da soli nei luoghi di gioco resta impresa per pochi: sette su cento, tra i 6 e gli 11 anni. Il 70 per cento viene portato in auto. «Siamo al penultimo posto: il 41% dei bambini inglesi, il 40% dei tedeschi, il 90% dei finlandesi si muovono in autonomia», spiega l'esperto.

L’accompagna­mento di massa altrove in Europa è stato risolto con piste ciclabili, percorsi protetti, mezzi pubblici potenziati. Da noi, traffico e servizi pubblici carenti frenano le sperimenta­zioni. «Ma anche la struttura delle città», sostiene l'architetto Luca Zevi, urbanista. Lui ha provato ad assumere i bambini come parametro della qualità di vita degli spazi urbani: «Perché hanno bisogno di un ambiente percorribi­le dai pedoni e garantito dalla responsabi­lità sociale di tutti. E un ambiente così risponde anche alle esigenze di anziani, portatori di handicap e di tutti». Per il Comune di Roma, Zevi ha progettato il Boulevard dei bambini: percorso pedonale protetto nel IV Municipio che collega due poli scolastici, un parco, un centro commercial­e, un centro anziani.

«Per i piccoli che non si muovono abbastanza, il rischio che sottolinea­no i pediatri è l’obesità infantile. Ma — sottolinea Tonucci — in gioco c’è anche la loro crescita, psicologic­a ed emotiva; il senso di sicurezza e l'autostima».

«Accompagna­rli sempre e ovunque, magari tenendoli per mano, fino a dodici, tredici anni, è sbagliato». Un segno di affetto? «Macché, solo di mammismo. Il più bel regalo che si può fare a un bambino è dirgli “domani puoi andare a scuola, puoi andare a giocare, da solo”».

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