De Laurentiis, attacco alla Juve «Sono i più potenti per i loro rapporti»
Milano, Hotel Principe di Savoia, piano ottavo, suite Imperial. Racconta Aurelio De Laurentiis che qui nell’81 ci ha girato Nessuno è perfetto, «la scena famosa con Pozzetto ubriaco che rincorre la Muti», stavolta però il film avrebbe un altro titolo, pazienza se non suo, comunque a effetto: attacco al potere. Dove il potere, secondo il presidente del Napoli, è rappresentato da quella Juventus «che appartiene alla famiglia più potente d’Italia da oltre cento anni, e potente significa non solo soldi ma rapporti che possono anche silentemente creare condizionamenti». Bum. Allusione a un’ipotetica strategia di disturbo di Marotta nell’opaco affare Politano? Se non lo è, gli somiglia molto. «Io non dico niente». Decisamente più esplicito sull’irruzione del Bayern per Younes: «Lì c’è stata una triangolazione con… gli amici degli amici». Frecciata. Poi un’altra: «Io non sono un poveraccio, però loro fatturano tre volte noi. A loro hanno regalato due terzi di uno stadio, io è sette anni che divento matto. Quando loro erano già la Juve, noi stavamo in C1. Però adesso abbiamo più punti noi».
Rabbia e orgoglio. La rabbia per un mercato di riparazione surreale («ma non avevamo niente da riparare») con non uno ma due rinforzi saltati («Verdi mi ha deluso, ha cambiato idea quando era già tutto fatto, mentre con Politano avremmo buttato un sacco di soldi, qualunque cosa sia stata m’ha fatto risparmiare 30 milioni per un giocatore che non li valeva») e l’orgoglio per una squadra che ha fatto 99 punti nel 2017 e che grazie «al divino Sarri gioca il miglior calcio d’Europa».
A proposito: riguardo al tecnico («lo amo») e all’eventualità che possa andarsene, De Laurentiis ostenta serenità: «Andasse via mi spiacerebbe molto ma credo che Napoli sia casa sua, qui è nato e qui è tornato da vincente. E poi ser-
vono 8 milioni per la clausola, che io cancellerei». Occhio, Sarri ha diversi estimatori anche in Premier. Chelsea?
Nella suite si parla di caffé, arte, politica («me l’hanno chiesto più volte ma io non cerco il consenso») e ovviamente di scudetto: «Se vinciamo, un anno di feste». Per arrivarci però non sarà decisivo lo scontro diretto, dice, ma altri aspetti come infortuni «ed errori arbitrali e... varriani che speriamo non ci siano più». Altra allusione? «Macché. Poi la Var mi piace, anche se va migliorata. E poi io non ho paura di niente e di nessuno».