In Siria raid americano contro le truppe di Assad
IL CONFLITTO LA CONDANNA DI DAMASCO: CRIMINE DI GUERRA
A7 anni dall'inizio della rivolta contro Assad, la Siria continua a sanguinare. Un raid Usa ha provocato decine di morti tra i miliziani lealisti. Mosca, che sostiene Assad, accusa Trump, ma le bombe russe fanno strage nella periferia di Damasco: 200 civili morti in 4 giorni.
Nei 33 mila chilometri quadrati dell’area di Deir Ez-zor si fronteggiano ormai gli interessi di due potenze globali (gli Stati Uniti e la Russia) e quelli di una nazione che vorrebbe diventarlo (l’iran). Accampate a poca distanza, tra loro il fiume Eufrate, le milizie che combattono contro Bashar Assad e le tribù che indossano le divise rabberciate del regime siriano: arabi, curdi, iraniani, Hezbollah libanesi sostenuti dagli iraniani, consiglieri militari americani, rinforzi russi. Tutti si contendono il territorio abbandonato dai terroristi dello Stato Islamico in fuga.
Le discussioni diplomatiche tra Mosca e Washington hanno stabilito delle linee da non oltrepassare per evitare che questa accozzaglia di armati finisca con lo scontrarsi e allargare la guerra che in Siria va avanti da oltre sette anni. Linee tracciate nella sabbia del deserto e difficili da far rispettare: nella notte tra mercoledì e ieri — spiegano dal Comando centrale americano — le Forze democratiche siriane (arabi e curdi insieme) coordinate dagli occidentali sono state attaccate a colpi di artiglieria e mortaio da clan tribali favorevoli al governo degli Assad.
I soldati delle forze speciali americane avrebbero chiesto l’appoggio degli elicotteri e nel bombardamento sarebbero morti un centinaio di volontari lealisti, la metà secondo altre fonti. Uno scontro che vuole restare limitato almeno nelle parole dei portavoce del Pentagono: «Non abbiamo intenzione di entrare in guerra contro il regime ma le nostre truppe hanno diritto all’autodifesa».
Le Forze democratiche siriane controllano l’area a nord-est dell’eufrate, verso il confine con l’iraq, un pezzo di Siria che attrae i vari avversari perché è la riserva di petrolio del Paese e della famiglia al potere da quarantasette anni. Sarebbe questo greggio da estrarre sotto le pietre che permette al ministero degli Esteri russo di accusare «gli americani non sono lì per combattere lo Stato Islamico ma per impossessarsi delle risorse siriane», mentre il governo di Damasco definisce il bombardamento «crimine di guerra» in una lettera alle Nazioni Unite.
L’onu spera di riuscire a imporre un mese di tregua, un cessate il fuoco chiesto anche dagli Stati Uniti, per portare aiuti umanitari nelle aree ancora controllate dai ribelli come la Ghouta, la campagna alla periferia di Damasco, dove per ora continuano solo a cadere le bombe russe e del regime: secondo i medici locali sono i raid più intensi degli ultimi anni, in quattro giorni sono stati ammazzati almeno 200 civili. Ghouta sarebbe una delle zone di «de-escalation» individuate dai russi, la strada per una progressiva uscita dal conflitto che non finisce.