«Un anno per decidere di rivelare il mio cancro»
La storia La supermanager di Facebook: ora mi sento felice
La supermanager di Facebook, Nicola Mendelsohn, al Corriere: «Il cancro? È stato difficile dirlo ai miei figli. E ci ho messo un anno prima di rendere publica la mia malattia». E ancora: «Andrò avanti come ho sempre fatto».
(il tumore le è stato diagnosticato nel novembre del 2016, ndr). È stato difficile quanto dirlo ai miei figli: è una cosa così personale, privata. Ma se fai ciò che ti spaventa impari di più».
Una dichiarazione pubblica del genere è insolita nel suo settore.
«La malattia e soprattutto il cancro sono ancora molto stigmatizzati. Dopo la pubblicazione della mia lettera, però, molti manager di successo mi hanno contattato per raccontarmi le esperienze simili alla mia. Se più persone facessero come me in molti potrebbero trarne giovamento».
Si riferisce anche alla comunità sul linfoma di cui fa parte su Facebook?
«Sì. Sono entrata nel gruppo Living with Follicular Lymphoma due mesi dopo la diagnosi. Ci sono 4 mila persone da 90 Paesi che si danno consigli sulla malattia, su come affrontare le cure. Chi non ne è affetto non può capire a quale stadio mi trovi e come si manifesta il problema. Ricevo e spero di dare anche io un supporto importante».
L’ha aiutata far parte di questi gruppi?
«Ti basta far parte di un gruppo per renderti conto dei benefici: trovi quello che ti interessa. Ecco perché vogliamo che sempre più persone siano coinvolte nelle loro comunità di riferimento e trovino supporto dall’interazione con gli altri».
L’interazione le ha fatto accettare di non avere più il pieno controllo sulla sua vita?
«Non penso si abbia mai veramente il controllo sulla propria vita. Anche la frase “io ho tutto” può avere molti e diversi significati, applicarla agli altri solo in base a come appaiono ha poco senso. In questi giorni sono stata contatta da persone che viste da fuori sembravano avere qualsiasi cosa si possa chiedere e in realtà stanno affrontando situazioni difficili. Io ho condiviso qualcosa con loro e loro hanno sentito di poterlo fare con me».
Non solo ha condiviso, ma come Sheryl Sandberg — per quanto le vostre vicende siano profondamente diverse — è riuscita a parlare di dolore e resilienza in modo diretto, palpabile. È una declinazione offline, positiva, dell’abitudine alla condivisione introdotta dalla Rete?
«L’apertura verso gli altri è una parte importante della nostra cultura, lo è sempre stata. Se qualcosa non va, se hai delle sfide da affrontare, dillo a chi ti circonda. Quello che i social network hanno introdotto è la possibilità di condividere esperienze o sofferenze significative con persone in cui altrimenti non ci si sarebbe mai imbattuti».
d Dopo la mia lettera molti mi hanno contattato per raccontarmi esperienze simili alle mie, se più persone facessero come me in molti potrebbero trarne giovamento