La piccola città che diventa capitale delle storture nazionali
La storia non ci insegna mai nulla. Se l’unica efficace risposta al terrorismo è l’unità nazionale, il più clamoroso atto di terrorismo razzista dentro i nostri confini coglie i politici nostrani in corsa disordinata verso le elezioni, intenti nel darsi dell’«irresponsabile» a vicenda, occhi fissi sui sondaggi. Il ministro Orlando contro Salvini e Berlusconi, Giorgia Meloni contro il ministro Minniti, i luogotenenti forzisti contro Orlando, Liberi e uguali di Pietro Grasso contro tutti, e via così, di post in tweet e di tweet in comparsata tv, tra mille dichiarazioni estemporanee di leader e gregari che trasformano Macerata da nuova capitale del disagio italiano a quinta permanente di Agorà e Porta a Porta. Forza Nuova si materializza tracotante in città, come se dopo un attacco jihadista sfilassero i salafiti (Casapound la tallona, la competizione nera è feroce). Grasso e Orlando sostengono la necessità di un corteo antifascista domani ma molte sigle daranno forfait. In realtà lo animeranno soprattutto i centri sociali, con Minniti per bersaglio «collaterale», a dispetto della richiesta di pace della comunità e del suo sindaco pd.
Macerata è un microcosmo che enfatizza guai e storture nazionali: dall’effetto delle predicazioni xenofobe ai danni di una visione irenica delle migrazioni, dall’eccessiva facilità nell’armarsi (lo stragista Luca Traini aveva un simbolo nazista tatuato in fronte e un porto d’armi in tasca) allo sfascio dei meccanismi d’accoglienza da cui tracimano clandestini che diventano zombie metropolitani (tale era Innocent Oseghale, accusato della morte di Pamela Mastropietro che Traini affermava di voler vendicare). Insomma, i giardini Diaz, strappati dagli spacciatori nigeriani ai bimbi maceratesi, sarebbero un ottimo terreno per cercare soluzioni condivise, lontano dagli slogan: ma solo un ingenuo potrebbe pensarlo in una campagna elettorale tra le più avvelenate della storia repubblicana.
Infatti dopo i primi giorni di stupefatta afasia (il raid di sabato mattina aveva creato una specie di bolla d’attesa, Minniti era andato a Macerata senza passare dall’ospedale dove erano ricoverati i sei nigeriani feriti da Traini) la politica ritrova la voce e non è un bel sentire. Salvini s’è detto solidale con i feriti ma non verrà e non ha chiesto loro scusa (in fondo aveva candidato il pistolero l’anno scorso alle Comunali e pare lo usasse da «security» nelle manifestazioni locali): in compenso scherza sull’anagrafe antifascista di Stazzema (lui conosce solo «l’anagrafe canina») e dichiara l’islam incostituzionale tout court. Berlusconi l’ha scavalcato sui rimpatri (600 mila contro i 500 mila dell’alleato leghista, come farli si vedrà). Orlando attacca entrambi, e denuncia minacce di morte in Rete. Ma i migranti creano imbarazzi e reticenze: nel Pd (solo Delrio si è esposto apertamente con un’intervista) e pure nei 5 Stelle (solo Fico s’è schierato). Il tema porta consensi alla destra ogni volta che lo si evoca. Perfino il raid di Traini potrebbe portarne, mentre appaiono un po’ ovunque striscioni che lo sostengono e infamie bipartisan (minacce di morte anche contro Salvini e la leghista bolognese Borgonzoni). In un’italia faziosa e incattivita, la politica sbanda. Che il re fosse nudo è venuto a dircelo, ultimo sfregio, non un bambino innocente ma un demente suprematista.