TRA MOVIMENTO E QUIRINALE UN RAPPORTO DA CALIBRARE
Si indovina un atteggiamento non proprio concorde nei confronti del capo dello Stato, Sergio Mattarella, da parte del Movimento 5 Stelle. Il candidato premier Luigi Di Maio non perde occasione per mostrare rispetto nei confronti del Quirinale; e sottolineare che dopo il voto toccherà al presidente della Repubblica tirare le somme e individuare la soluzione. Anche se descrive scenari apocalittici quando sostiene che o il M5S va al governo o sarà il caos. E addita il segretario del Pd, Matteo Renzi, e il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, come «irresponsabili» che si preparano a allearsi.
Forse teme che alla fine si crei comunque un fronte contro il suo Movimento. Per questo, sebbene non solo, negli ultimi mesi ha cercato di accentuare un profilo istituzionale nei confronti del presidente della Repubblica. Per quanto repentine e tormentate, le svolte sulla moneta unica, sul rapporto con l’unione europea, sono state fatte per tranquillizzare la comunità internazionale; per attenuare diffidenze
Le differenze
Di Maio ha costruito con le sue svolte un rapporto rispettoso ma dentro i Cinque Stelle continuano gli scarti anti sistema
radicate e diffuse. E questa marcia, meglio questa corsa verso un’immagine meno estremista, è stata registrata al Quirinale.
Il problema è quanto Di Maio rifletta i veri umori dei Cinque Stelle; quanto la sua leadership rifletta una metamorfosi reale e non un’operazione limitata al vertice. Quando la candidata alla Regione Lazio, Roberta Lombardi, addita Mattarella come esponente di «quella classe politica che ci ha lasciato il Paese nelle condizioni in cui è», ripropone il problema: volutamente, o forse senza pensarci. E quando chiede che il capo dello Stato «sia più incisivo nel suo ruolo di garante super partes», a favore del M5S, sembra contraddire la strategia di avvicinamento alle istituzioni di Di Maio.
Mostra una riserva di ostilità contro il sistema che non risparmia i vertici dello Stato. L’insistenza con la quale sia Berlusconi, sia Renzi additano l’estremismo del Movimento, amplifica questa sensazione. E porta a escludere un dialogo postelettorale. Eppure, nella voglia del vertice del Pd di rispondere «colpo su colpo», e di candidarsi come «unico» avversario del M5S, si annidano vecchie e nuove insidie. Nel muro contro muro, i seguaci di Beppe Grillo finora hanno guadagnato spazio e voti.
In privato i grillini ammettono che il profilo modesto del premier Paolo Gentiloni, per loro poteva costituire un problema maggiore rispetto a Renzi e alla sua strategia aggressiva. Anche perché in parallelo il segretario dem vuole presentare il suo partito come «la vera forza tranquilla». E addita «la maggioranza silenziosa del Paese» come alleata. Ma la evocò anche al tempo del referendum istituzionale di fine 2016. Quella maggioranza ha votato e lo ha bocciato.