Scholz, la parabola del Robot anti welfare Ora apre i cordoni della borsa all’europa
Germania, meno austerità alle Finanze. Ma chi conosce il futuro ministro: «Arrogante come Schäuble»
BERLINO Dal Reno all’elba. Dal cuore carolingio ai grandi spazi anseatici. Da Wolfgang Schäuble a Olaf Scholz. Cambia partito, retaggio culturale e soprattutto personalità il ministero delle Finanze tedesco. Nella Grosse Koalition che solo il referendum interno alla Spd separa ormai dal traguardo, sarà molto probabilmente il borgomastro socialdemocratico di Amburgo a prendere il posto del profeta dell’austerità e arcigno custode dello «schwarze Null», il pareggio di bilancio che è la concreta metafora del rigore e della parsimonia germanica.
Sessant’anni, laureato in Legge, entrato ancora ragazzo nella Spd, eletto per la prima volta al Bundestag non ancora trentenne. Olaf Scholz ha un onorato ruolino di marcia nella politica tedesca. Alla ribalta nazionale salì nel 2002, da segretario generale del partito socialdemocratico, quando si fece conoscere come il più strenuo difensore dell’agenda 2010, la riforma del welfare e del mercato del lavoro che rilanciò l’economia tedesca e costò il posto di cancelliere a Gerhard Schröder. Fu in quegli anni che si inimicò la sinistra del partito, subendone attacchi feroci: per la secchezza quasi meccanica con cui sciorinava gli argomenti in favore dell’agenda lo ribattezzarono Scholz-o-mat, come se fosse un robot.
Di Angela Merkel, il sindaco di Amburgo è stato ministro del Lavoro nella prima Grosse Koalition, dal 2007 al 2009 e anche in quella posizione si scontrò con la sinistra socialdemocratica, che avrebbe voluto smussare gli aspetti più duri delle riforme di Schröder. Non gliel’hanno mai perdonato: ogni volta che il suo nome viene messo ai voti in un congresso della Spd per la direzione del partito, Scholz passa per il rotto della cuffia.
L’arrivo di un socialdemocratico al ministero delle Finanze è stato salutato con molto sollievo a Bruxelles. «Una buona notizia», ha twittato il commissario agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici. Lo è davvero? Cambierà i fondamentali della posizione tedesca in Europa il nuovo ministro, che quanto a brillantezza e arroganza, parola di chi lo conosce, non è affatto secondo al suo predecessore?
Ci sono pochi dubbi che il patto di coalizione firmato tra Cdu-csu e Spd contenga al capitolo europeo novità rivoluzionarie. Più soldi alle casse comuni, un bilancio per gli investimenti dell’eurozona, l’unione fiscale, il meccanismo di stabilità sotto il controllo dell’europarlamento.
Secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung, la Germania, già contribuente netto per 13 miliardi di euro l’anno al bilancio della Ue, sarebbe pronta a versarne altri 6. Ce ne vogliono ancora 8 per colmare il prevedibile buco generato dalla Brexit. Lo stesso Scholz, in una recente intervista a Die Welt, ha detto che «l’ue non è solo un’unione doganale, ma deve sviluppare politiche comuni nella politica estera, di sicurezza, finanziaria ed economia, dobbiamo essere più coraggiosi». Ed ha aggiunto che «bisogna essere più concilianti con Paesi come la Grecia».
Una cosa però è muoversi da borgomastro di Amburgo e un’altra da Finanzminister. La disponibilità tedesca a pagare di più all’europa non viene da sola: come spiega Der Spiegel, se il bilancio dovrà essere rimpinguato, tutti i maggiori Paesi (quindi anche l’italia) devono pagare di più. C’è una piccola frase nel patto di coalizione, passata quasi inosservata, al capitolo sull’europa: «I diritti dei Parlamenti nazionali rimangono inviolati». Come dire: quanto in più dà la Germania, sarà in ultima analisi il Bundestag (presieduto da Wolfgang Schäuble) a deciderlo.
Cambierà il tono, questo sì. La frase «non diamo nulla» sparirà dal vocabolario tedesco. Ma sulle regole non ci saranno flessioni: da Schäuble a Scholz, il rispetto rimane l’unica divisa.