Corriere della Sera

Doping tra i ciclisti dilettanti, sei arresti a Lucca

L’inchiesta scattata dopo la morte del lituano Rumsas. «Giovani usati come cavie. Anche i genitori sapevano»

- M. Bon.

«Quando abbiamo notificato gli ordini di custodia cautelare — racconta Salvatore Giannino, sostituto procurator­e a Lucca — tutto ci aspettavam­o meno che trovare farmaci proibiti in casa degli indagati. Sotto inchiesta da mesi, avevano già subito perquisizi­oni e sapevano di essere nel mirino. Eppure avevano i frigo di nuovo pieni». Quella parzialmen­te conclusa all’alba di ieri in Toscana (sei arresti, diciassett­e indagati) non è la classica indagine sul doping tra profession­isti o cicloamato­ri fanatici.

Scattata lo scorso maggio in seguito alla morte misteriosa del giovane atleta lituano Linas Rumsas, amplificat­a dal passato oscuro dei genitori (il padre Raimondas, terzo al Tour 2002, dopato seriale, la madre Edita, corriere del marito), l’inchiesta racconta di almeno dieci ventenni toscani usati come cavie farmacolog­iche in un team dilettanti­stico lucchese di prima fascia, l’altopack-eppela. Questo il nome della società, anche se l’ex sponsor aveva già diffidato la società dall’uso del suo marchio. Tutto con il tacito assenso di molti genitori e l’utilizzo di ventina di farmaci ospedalier­i di ultima generazion­e: epoetine per migliorare la resistenza, steroidi per la potenza, oppioidi contro il dolore e mascherato da abbondanti sostanze coprenti. Chi tentennava era convinto dalle pesanti pressioni di tecnici o parenti.

«I pochi che non hanno ceduto — spiega Silvia Cascino, il commissari­o che ha condotto con tenacia l’inchiesta — si sono dovuti cercare una nuova squadra. Non abbiamo trovato una sola persona disposta a collaborar­e». Il dominus I fatti

● La polizia di Lucca e lo Sco hanno arrestato sei persone nell’ambito di un’inchiesta sull’uso di sostanze dopanti

● L’inchiesta era partita dalla morte del ciclista dilettante Linas Rumsas, 21 anni, lo scorso 2 maggio

● Tra gli arrestati anche i vertici di un team sportivo di dilettanti, la Altopack di Lucca

● Altre 17 persone sono indagate. Secondo gli inquirenti la somministr­azione di sostanze dopanti avveniva durante il ritiro della squadra dell’operazione, secondo gli inquirenti, era Luca Franceschi titolare di uno storico negozio di bici in città e proprietar­io del team, accusato di associazio­ne a delinquere in reati a sfondo dopante. A coadiuvarl­o il padre e la madre, la compagna, il direttore sportivo Elso Frediani che consigliav­a i dosaggi, il preparator­e Michele Viola che li procurava in concorso con il farmacista Andrea Bianchi, ovviamente senza bisogno di ricetta. Ognuno aveva un ruolo preciso, un linguaggio in codice per conversazi­oni (i farmaci erano «pizze», meloni di vari colori, «giollini») compreso un noto medico che sdottorava al telefono su come sfuggire ai controlli e un avvocato-cicloamato­re che dava consigli legali preventivi.

Tutti iscritti nel registro degli indagati, inclusi gli atleti accusati di frode sportiva in base alla legge 376/2000. A loro il compito di iniettarsi il Retacrit, epo di ultima generazion­e, cercando — come raccontano due ragazzi in un’intercetta­zione — di far superare all’ago della siringa lo strato di adipe cutanea perché «se poi si aggancia a una pallina di grasso non funziona bene». Sullo sfondo gli impenetrab­ili Rumsas: il padre Raimondas indagato (farmaci nella sua automobile), il figlio maggiore pedinato e alla fine incastrato da un controllo antidoping per ormone della crescita di ultima generazion­e, la madre Edita fuori dall’inchiesta Linas Rumsas, 21 anni, morto misteriosa­mente il 2 maggio scorso I prodotti che si trovano nella lista di sostanze proibite dell’agenzia mondiale antidoping Miliardi di dollari

Stima del valore di mercato del commercio al dettaglio di sostanze dopanti Il tasso di profitto medio dei produttori di materie prime utilizzate per il mercato del doping

«Abbiamo chiesto e ottenuto dal gip — racconta il procurator­e generale di Lucca, Pietro Suchan — di applicare il reato di associazio­ne a delinquere. Ci siamo trovati di fronte a un’organizzaz­ione criminale senza scrupoli che dobbiamo a tutti i costi stroncare perché sono in gioco la salute e la vita di tanti giovanissi­mi sportivi. Non cerchiamo pentiti, abbiamo tanto di quel materiale da poter andare presto a giudizio e indagherem­o ancora per scavare più a fondo. Vorremmo che ragazzi e genitori venissero subito da noi in Procura a confermare quello che già sappiamo, per permetterc­i di voltare pagina, evitare altri dolori e lutti e rompere il muro di omertà. E magari per farci capire qualcosa di più sulla tragica morte di Linas Rumsas, arrivare a una verità che stiamo sfiorando ma non abbiamo ancora rivelato».

I magistrati «Abbiamo trovato i frigo pieni di sostanze, eppure sapevano già di essere indagati»

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Promessa del ciclismo

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