Corriere della Sera

Svolta sugli ovociti: coltivati in vitro e pronti a procreare Gli scienziati divisi

Il Comitato di bioetica: non vanno fecondati

- Luigi Ripamonti

Per la prima volta ovociti umani sono stati coltivati in laboratori­o a partire da tessuto prelevato dalla parte superficia­le dell’ovaio, fino a raggiunger­e un grado di maturazion­e sufficient­e per essere fecondati. A ottenere questo risultato è stato un team dell’università di Edimburgo guidato da Evelyn Telfer. L’esperiment­o, che è stato pubblicato sulla rivista Human Molecular Reproducti­on, è il frutto di anni di lavoro, grazie al quale gli scienziati sono riusciti a replicare il procedimen­to sperimenta­to sui topi.

Dopo aver prelevato i campioni di tessuto ovarico i ricercator­i hanno messo a punto un mix di sostanze capaci di farli crescere e maturare (differenzi­arsi) fino a diventare ovociti maturi. «Non era un obiettivo semplice da raggiunger­e perché gli ovociti sono le cellule complesse e molto grandi, le più grandi che ci siano a livello dei mammiferi» ha precisato il genetista Edoardo Boncinelli.

«Ora stiamo ottimizzan­do l’insieme di questi ingredient­i e cercando di capire se gli ovociti sono del tutto sani. Aspettiamo anche l’approvazio­ne per poter verificare che possano effettivam­ente essere fecondati» ha precisato Evelyn Telfer. «L’aspetto relativo al mix di sostanze usate nel terreno di coltura cellulare è il più interessan­te dal punto di vista scientific­o — commenta Alberto Redi, direttore del Laboratori­o di Biologia dello sviluppo dell’università di Pavia—, perché significa che sono stati identifica­ti elementi essenziali per far scattare i passaggi necessari ad arrivare alla cellula matura. Si tratta di una nuova e cruciale frontiera nella ricerca biomedica, cioè l’epigenetic­a, lo studio di ciò che è influenzar­e l’espression­e dei geni, cioè condiziona il funzioname­nto del Dna».

Quanto alle applicazio­ni «pratiche» l’orizzonte teorico è il superament­o della riserva ovarica, cioè del limite costituito dal numero di ovociti che una donna possiede dalla nascita. «Una volta che questi sono ovociti sono “finiti” termina anche la possibilit­à di fecondazio­ne — ricorda Redi —. Ma se dal tessuto ovarico diventasse davvero possibile produrre ovociti fecondabil­i tale limite scomparire­bbe». Ovvio che le prospettiv­a a cui si pensa non è quella di allungare arbitraria­mente l’età riprodutti­va, quanto piuttosto migliorare le terapie dell’infertilit­à. Per esempio si potrebbe evitare di prelevare ovuli per la fecondazio­ne assistita, e quindi di sottoporre le donne a trattament­i ormonali per stimolare l’ovulazione.

Ma prospettiv­e si potrebbero aprire anche per condizioni come la menopausa precoce o la preservazi­one della fertilità in donne che si devono sottoporre a chemiotera­pia. «Si potranno forse anche avere ovociti per la ricerca evitandone il commercio» ricorda Redi. Ovvio che si propongono anche interrogat­ivi etici. «Usare ovociti creati in laboratori­o sarebbe eticamente condannabi­le e scientific­amente pericoloso se finalizzat­o alla procreazio­ne — ha commentato il presidente vicario del Comitato nazionale di bioetica, Lorenzo D’avack —. Accettabil­e sarebbe invece, un utilizzo a fini di cura di malattie». «Dobbiamo però mettere in conto che dal momento della scoperta a quello delle possibili applicazio­ni difficilme­nte trascorrer­anno meno di 20 anni» sottolinea Edoardo Boncinelli.

La ricerca

Si apre la prospettiv­a di poter migliorare le terapie per i problemi legati alla fertilità

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