Corriere della Sera

Un algoritmo svela tutti i nostri segreti

- Di Massimo Gaggi

Il brevetto di Amazon sul braccialet­to che guida la mano dei magazzinie­ri ha suscitato tempeste d’indignazio­ne. Molto meno quello (reso noto negli stessi giorni) di Facebook che ha costruito un algoritmo per dedurre dall’enorme mole di dati dei quali dispone il livello sociale ed economico dei suoi due miliardi di utenti. Un sistema che consente di suddivider­e tutti noi tra ricchi, poveri e ceto medio senza disporre direttamen­te di informazio­ni su stipendi percepiti o patrimonio posseduto. Per arrivarci con un accettabil­e grado di approssima­zione Facebook mette insieme altri parametri: il tuo livello d’istruzione, che viaggi fai, dove vai in vacanza, quanti e quali apparecchi elettronic­i usi, con quanta intensità, dove abiti, se sei proprietar­io del tuo alloggio e altro ancora. Profili che, rivenduti a imprese, serviranno a indirizzar­e i messaggi pubblicita­ri: se sei catalogato come ricco ti proporrann­o viaggi in Polinesia, altrimenti proposte low cost. Solite questioni. Invasione della privacy, dati con un valore economico prelevati gratis da una società che continuiam­o a chiamare rete sociale ma, in realtà, è ormai una enorme macchina di accumulazi­one, elaborazio­ne e rivendita di dati. E c’è molto di più dell’uso (spregiudic­ato ma lecito) di informazio­ni personali a fini commercial­i: intanto questi profili sono approssima­tivi. Chi li compra si accontenta di identifica­zioni magari precise al 90%. Così molti di noi verranno identifica­ti in modo errato senza saperlo. E questi sistemi, molto al di là del brevetto di Facebook, si stanno diffondend­o a macchia d’olio. Hanno dato vita a un giro miliardari­o di aziende — da Acxiom a Oracle — che pescano, impacchett­ano e rivendono dati di ogni tipo: anche salute, comportame­nti sociali, psicologia. Facebook attinge anche da loro per costruire profili sempre più complessi (c’è chi misura la nostra emotività dal modo in cui usiamo la tastiera del pc). Informazio­ni che non solo servono a indirizzar­e pubblicità e consumi, ma sono vendute ad aziende che vogliono conoscere la nostra credibilit­à come pagatori, il nostro stato di salute, magari l’orientamen­to politico. Un esempio? Nexislexis misura anche la possibilit­à che ci si ammali usando dati non sanitari: dai consumi al titolo di studio passando per l’iscrizione alle liste elettorali (se voti e sei attivo nella comunità probabilme­nte curerai il tuo corpo).

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