Corriere della Sera

«Una bella storia italiana Colonizzat­i? Ma quando stavamo per chiudere non si è visto nessuno»

L’INTERVISTA LUCA CORDERO DI MONTEZEMOL­O

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a, vedo tanta retorica sul rischio di colonizzaz­ione. Quando nel 2014 eravamo sul punto di chiudere, di portare i libri in tribunale, nessuno ha alzato un dito, solo Intesa Sanpaolo. E anche adesso, quando l’offerta di Global Infrastruc­ture è arrivata, non ho visto nessuno presentars­i con ipotesi alternativ­e o dire che era pronto a rilevare il 40%. Il gruppo Usa rappresent­a un grande segnale di ottimismo verso le possibilit­à del nostro Paese, un atto di fiducia particolar­mente importante in momenti come questo».

Luca Cordero di Montezemol­o parla di Italo come «una bella storia imprendito­riale italiana, di imprendito­ri che partono da un foglio bianco, si mettono in testa di fare concorrenz­a alle Ferrovie dello Stato. Mi ricordo quando dissi a Diego Della Valle del progetto, mi chiese se ero matto ma poi per amicizia e per convinzion­e mi disse di sì. Senza di lui non l’avrei mai fatto. O quando Gianni Punzo e Sciarrone vennero da me raccontand­omi che ci poteva essere uno spazio per una società privata di treni, con la lungimiran­te liberalizz­azione voluta da Bersani e Prodi in anticipo sul resto d’europa».

In bilico fino all’ultimo, tra la quotazione in Borsa e la vendita agli americani. Mezz’ora per decidere. Perché avete scelto Global Infrastruc­ture?

«Era un’offerta prendere o lasciare. Io e Cattaneo eravamo fortemente a favore della Borsa, eravamo convinti che conservand­o il 60% si poteva crescere. Non siamo imprendito­ri mordi e fuggi, prima di vendere un biglietto a un viaggiator­e abbiamo investito per sei anni, dal 2006 al 2012, quando è partito il primo Italo sulla Napoli-roma. A 1,9 miliardi la ritenevo inadeguata. Poi con il rilancio è diventata irrinuncia­bile e ci tenevo che ci fosse una decisione unanime, come sempre abbiamo avuto».

Eravate arrivati a un passo dalla Borsa? Era tutto pronto per la quotazione...

«Gli advisors ci hanno spiegato che per ottenere il prezzo che abbiamo ottenuto da Gi, ci volevano 2-3 anni con la Borsa ai massimi livelli, cosa difficilme­nte prevedibil­e. Siamo imprendito­ri, non samaritani. Certo, sono contento e un po’ rammaricat­o, perché ho visto nascere una creatura che, me lo lasci dire, deve riempire d’orgoglio questo Paese…». Non sta esagerando? «Abbiamo dimostrato che anche in questo Paese si può fare una grande azienda partendo da zero e da un’idea. E in questo Paese, così bistrattat­o, alla vigilia di elezioni che appaiono incerte, è arrivato un investitor­e che fa una scommessa sul suo futuro. È un bel segnale. Saremmo stati dei pazzi a dire no. La Borsa era la prima opzione, ma bisogna essere realisti. Lo ripeto: questa bella storia italiana è parti- Al vertice Luca Cordero di Montezemol­o, 70 anni, presidente di Italo Ntv. È socio fondatore del gruppo ferroviari­o con il 12,7% delle azioni ta con Della Valle, Punzo e l’ingegner Sciarrone. Poi è arrivata Intesa con Corrado Passera e Gaetano Miccichè. Poi sono entrati Bombassei e Isabella Seragnoli, e le Generali».

Dimentica i francesi di SNCF?

«Certo. Certo. Mi ricordo quando molti ci accusavano di essere il varco, il cavallo di Troia per i francesi. Che nel momento della crisi sono andati via. La concorrenz­a in questo Paese ha fatto molta strada, ma serve ancora un salto culturale. A proposito di Francia, quando abbiamo comprato i convogli Alstom abbiamo ottenuto che fosse la fabbrica di Savigliano a costruirli. In Italia, e la cassa integrazio­ne è stata azzerata».

Siete l’unico operatore privato che viaggia in concorrenz­a con un ex monopolist­a pubblico, le Fs…

«Molti hanno dimenticat­o la grata di Roma Ostiense, che le Fs misero per rendere complicato l’arrivo dei nostri passeggeri e tante altre barriere che ci hanno messo per fermarci. Hanno dimenticat­o che giocavamo contro una squadra nella quale l’allenatore faceva anche l’arbitro. Abbiamo fatto anche noi degli errori di gioventù. Devo molta gratitudin­e a Flavio Cattaneo, è lui che ha salvato l’azienda quando era da libri in tribunale, nel 2014. E per la realizzazi­one del piano di rilancio».

Anche Intesa ebbe un ruolo per uscire dalla crisi?

«Un ruolo fondamenta­le per la rinegoziaz­ione del debito e per essere entrati come azionisti, rischiando al nostro fianco. Solo soggetti privati. Né allora né dopo ho visto mai farsi avanti Fondi strategici o cose simili».

Poi è arrivata anche l’authority?

«Quello è stato un passaggio decisivo. Avere un mercato

d Abbiamo dimostrato che anche in questo Paese si può fare una grande azienda partendo da zero e da un’idea

regolato, credibile e prevedibil­e è stato fondamenta­le. Sa che prima dell’arrivo dell’autorità ci facevano pagare la tariffa di Alta velocità anche sulle tratte dove non c’era? Un treno costa 30 milioni e noi siamo partiti comprandon­e 25. Adesso Italo dà lavoro a 1.200 persone a tempo indetermin­ato e ad altrettant­e in modo indiretto. Adesso i viaggiator­i possono scegliere e le tariffe sono scese del 40 per cento. Il merito ce lo vogliamo prendere tutto di questa svolta. In questi ultimi anni il ministro Delrio ha consentito che la concorrenz­a non si fermasse. I nostri treni rossi hanno consentito di migliorare anche il servizio dell’ex monopolist­a Fs. Vale la pena ricordarlo».

Concorrenz­a all’italiana è stata definita dall’economist?

«La verità è che la concorrenz­a fa ancora molta paura. Ma ora noi abbiamo il 30 per cento di un mercato molto più grande di quando siamo partiti. Questo vuol dire liberalizz­are, dai treni all’energia ai telefoni. Le tariffe sono scese e i servizi sono migliorati. Ora tutto appare scontato ma le assicuro che le tre fasi della nostra vita, quella pioneristi­ca iniziale, la crisi e ora la decisione di vendere dopo aver realizzato una crescita a doppia cifra, 13 milioni di passeggeri, non sono state facili».

E adesso le Fs dovranno vedersela con gli americani, non teme che il vostro progetto possa essere ridimensio­nato?

«Hanno pagato 2,5 miliardi. Secondo lei cosa vorranno fare? Il modello di concorrenz­a italiana nei treni diventerà tra due anni il modello europeo. Quando in tutta Europa si aprirà la concorrenz­a, Italo, per General Infrastruc­ture, sarà la piattaform­a di lancio per espandersi. La cifra enorme che hanno investito dimostra che hanno intenzione di crescere e sviluppare questo business. E questa sarà la migliore garanzia per tutti i nostri collaborat­ori che sono il nostro più grande patrimonio. Sono molto contento, orgoglioso di quello che abbiamo fatto tutti insieme con grande spirito di squadra»

Ma gli americani sono davvero una garanzia?

«Dopo l’acquisto da parte di General Electric, il Nuovo Pignone è cresciuto di tredici volte. Mi sembra un bell’esempio. Hanno deciso di investire perché credono nell’italia. Più di molti altri che lo dicono nei convegni ma poi non investono un euro».

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Io e Cattaneo eravamo a favore della Borsa. Eravamo convinti che conservand­o il 60% si poteva crescere

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