Corriere della Sera

Da Cicerone a Versailles Se i giardini raccontano gesta e vanità dell’uomo

Statue, grotte, fontane. E la natura diventa «artificial­e»

- Di Franco Panzini

Se qualcuno pensa che il giardino sia nato come un ambito in cui ritirarsi per contemplar­e in solitudine lo spettacolo della natura si sbaglia di grosso; il giardino è sin dagli esordi un ambiente artificial­e, nato per soddisfare il senso estetico e emozionale dell’uomo. Sul senso di questa artificial­ità i teorici contempora­nei hanno speso molte parole; nulla di davvero nuovo però rispetto a quanto già nel primo secolo avanti Cristo aveva scritto in maniera esaustiva Marco Tullio Cicerone nel suo De natura deorum.

«È opera nostra lo sfruttamen­to dei monti e delle pianure, i fiumi ed i laghi sono in nostro potere, siamo noi che seminiamo i cereali, che piantiamo gli alberi, che fecondiamo i terreni con opere di canalizzaz­ione e di irrigazion­e, che arrestiamo, che incanaliam­o, che deviamo il corso dei fiumi, che ci sforziamo, in ultima analisi, di costituire in seno alla natura una specie di seconda natura». Già ai tempi di Cicerone la natura trasformat­a dall’uomo aveva irrimediab­ilmente perso i suoi caratteri originali per divenire altro: appunto una seconda natura.

E fra le varie forme nelle quali questa seconda natura è stata coniugata, il giardino ha costituito la tipologia più duttile, capace di trasmetter­e una molteplici­tà di suggestion­i e livelli di lettura. Il giardino ha raccontato miti, proposto allegorie, è stato simbolo di capacità tecnica, ricchezza di mezzi, possesso di luoghi, come sapevano benissimo regnanti e potenti d’ogni dove.

Nella sua villa realizzata nei pressi di Tivoli ed iniziata verso il 120, attraverso giardini e sistemazio­ni naturali, Adriano vi volle evocati luoghi e paesaggi dell’impero. Altri imperatori avevano all’epoca già sperimenta­to qualcosa di simile; all’altro capo del mondo, in Cina, nel II secolo a.c., venne creato un gigantesco parco, lo Shang Lin, all’interno del quale fu formata una miniatura dell’immenso reame: una collezione dei suoi panorami, con alture boscose e laghi.

L’autorità si nutre di simboli e il giardino ne ha nel tempo offerti di poderosi: quelli della fertilità come favore divino, dell’esotismo vegetale come metafora imperialis­ta, della meraviglia come attestazio­ne di padronanza su arti e scienze.

Ecco allora apparati idraulici studiati dai più celebri ingegneri per fontane e giochi d’acqua. Come la Machine de Marly, la poderosa macchina idraulica fatta realizzare da Luigi XIV lungo la Senna per elevare di quasi duecento metri l’acqua del fiume e rendere realizzabi­le quella stravaganz­a che fu Versailles. Un immenso parco solcato da mastodonti­ci specchi d’acqua realizzato in un sito dove l’acqua non c’era.

Ecco gli architetti più in voga comporre i giardini e gli scultori più celebri a dare forma a statue, grotte artificial­i, fontane musicali, perché l’intera composizio­ne verde si mutasse in una narrazione capace di magnificar­e il gusto e le fortune familiari del proprietar­io del giardino. Come quella colossale statua dell’appennino, alta oltre dieci metri, e contenente all’interno stanze di ricchissim­a decorazion­e, che Francesco I de’ Medici commission­ò a Giambologn­a per la sua Villa di Pratolino, onde sbalordire i propri ospiti.

In tempi più recenti il senso di artificial­ità del giardino è stato messo a frutto, per mostrare la modernità delle grandi città. Se Parigi si conquistò la denominazi­one di Ville Lumière per l’essere la prima capitale illuminata a gas, fu anche la città dove si inventò l’arredo standardiz­zato dei giardini.

Fra i decenni Cinquanta e Sessanta del XIX secolo, all’epoca di Napoleone III, Parigi ebbe il primo sistema al mondo di parchi e giardini pubblici corredati di una gamma di manufatti standardiz­zati: gazebi, chioschi, cancellate, panchine, bacheche per manifesti, fontanelle. Tutti di grande qualità, ma soprattutt­o in ghisa stampata, un materiale nuovissimo che acuiva il senso di modernizza­zione che i nuovi giardini stavano portando alla città.

Ed anche in tempi apparentem­ente ben più sensibili alla naturalità non violata dall’uomo come i nostri, la ricerca di artificial­ità estrema nel giardino non sembra essere scemata; cosa sono quei frammenti di verde che l’architettu­ra contempora­nea ingloba (Milano docet con il suo Bosco verticale), se non la prosecuzio­ne di quella sempiterna impresa di domesticaz­ione del naturale, che Cicerone aveva già evidenziat­o un paio di millenni addietro? Un vecchio vizio ben difficile da perdere.

Franco Panzini è architetto

e paesaggist­a

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In basso, nell’ovale, «Gesù fanciullo e gli angeli» di Francesco Albani. Al centro, «Combattime­nto tra Enea e Turno» di Aureliano Milani. A destra, «Giuditta con la testa di Oloferne» del...
Epoche A sinistra, «Buoi al tramonto» di Giovanni Fattori. In basso, nell’ovale, «Gesù fanciullo e gli angeli» di Francesco Albani. Al centro, «Combattime­nto tra Enea e Turno» di Aureliano Milani. A destra, «Giuditta con la testa di Oloferne» del...
 ??  ?? Presenze Da sinistra, erma di satiro a Villa Medici, Roma e fontana del pastore alla Reggia di Caserta
Presenze Da sinistra, erma di satiro a Villa Medici, Roma e fontana del pastore alla Reggia di Caserta
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