E la città si blinda «È la prima volta che abbasso la saracinesca»
Dai bus fermi alle scuole chiuse «Non siamo così, ci rialzeremo»
d Sembra Miami prima di un ciclone, tutti a inchiodare assi, a ritirare vasi, a chiedersi «come sarà» quando passerà l’onda
Il passato è una saracinesca arrugginita per il disuso, assopita fino a ieri nella sua inutilità. Giuseppe Romano, il camiciaio di via Gramsci, la guarda con nostalgica tenerezza e scuote la testa: «Eh, ora che mi servirebbe, non viene giù, si capisce, inutile tirare! Mai abbassata in vent’anni, qui non ce n’era bisogno. Noi siamo come questa vecchia serranda, sa». Il figlio Edoardo gli ha appena mandato un sms dal liceo: «Prendi le tavole di compensato per proteggere la vetrina, in classe lo raccomandano». Lui gli ha risposto fiero: «Già fatto. Papi».
Il presente è questa sicurezza perduta, una vigilia che pare Miami prima di un ciclone, tutti a inchiodare assi, a ritirare vasi, a domandarsi «come sarà» quando passerà l’onda del corteo, che pure non dovrebbe attraversare il centro ma, si sa, bravo chi ci crede. Massimo, il salumiere del «Concorrente», si arrangia con pannelli di polistirolo. Dai portici di Galleria Scipione hanno tolto persino il biliardino.
Macerata si paralizza come un gatto minacciato, sperando di diventare invisibile: scuole chiuse, bus fermi, sospesi perfino catechismo e messa vespertina, è una specie di replica dell’altro terribile sabato, quando Traini ha cominciato a sparare e l’incubo è iniziato. Michele, alla cassa del parcheggio del Mercato, sbarrerà tutto poco dopo mezzogiorno ma assicura: «Mi arrampico sul tetto a guardare lo spettacolo, l’altra sera con Forza Nuova se le sono date proprio qui davanti!». Ha vent’anni, beato lui.
L’odio bussa alla porta
Romano Carancini, sindaco pd e avvocato, li vedeva alla tv i cortei degli Anni di piombo, e sgranava gli occhi: «Mio papà faceva lo spazzino ma era pieno di saggezza, mi ha insegnato il valore della vita, di ogni vita. Per noi erano immagini così lontane».
Ora è come aver sbagliato film. L’odio, vero odio politico, ha bussato alla porta con la faccia di un killer fascista. La rabbia, vera rabbia politica, sale dalle valli fino a queste colline, sui pullman che portano stamattina centri sociali da Treviso a Palermo, da Roma a Bologna, i duri di Napoli e Torino, cinque o seimila ragazzi attesi qui da centinaia di poliziotti e carabinieri, uno scenario inverosimile in questi vicoli rinascimentali dove bisogna nominare Francesca Baleani, sopravvissuta nel 2006 a un tentato femminicidio domestico, per citare l’ultimo atto di violenza paragonabile, prima che la ferocia di uno spacciatore nigeriano attraversasse la vita di Pamela Mastropietro, bella, debole, indifesa.
Terrorismo psicologico
Il pistolero Traini voleva vendicare Pamela, così ha detto, sparando a sei immigrati innocen-
ti. Ognuno vuole vendicare qualcuno, adesso. Gridare qualcosa. Per le vittime del razzismo e del fascismo sfilano gli antagonisti di Sisma assieme alla sinistra-sinistra, Arci, Fiom, Libera, Gino Strada, Sabina Guzzanti, Pippo Civati, Nicola Fratoianni, una pattuglia di Liberi e uguali, un’altra dell’anpi, una pagina intera di sigle. Il rischio di scontri è tanto nell’aria da legittimare una voce insidiosa, «treni in arrivo dal Nord Europa» che tradotto vorrebbe dire Blocco Nero, tafferugli assicurati: ma forse è terrorismo psicologico, terrore su terrore.
Giovanni, vecchio sindacalista in pensione, romanzo di Nabokov sottobraccio, ricorda l’ultima volta che ha visto inviati dei «giornaloni» da queste parti: «Primi anni Novanta, scoppiò il caso delle lavoratrici costrette a rinunciare alla maternità per tenersi i posti di lavoro, uno scandalo». Ridacchia: «Adesso la sinistra è da manicomio: un fascista spara e loro si spaccano». In effetti, bersaglio collaterale del corteo è Marco Minniti con la sua stretta sugli sbarchi. Si parte alle due di pomeriggio girando attorno alle Mura da piazza Diaz, da quei giardini che sono stati terra di conquista dei trafficanti d’eroina.
Una città sdoppiata
Il vescovo Nazzareno Marconi medita amaro: «Tra i motivi di tutta questa attenzione verso le vittime, da una parte e dall’altra, non penso ci sia la sensibilità umana o cristiana, le ragioni vere sono altre... ». Non ci sta, all’etichetta di una Macerata razzista: «Quel ragazzo, Traini, era imbevuto di idee non sue...».
Nemmeno il sindaco Carancini ci sta: è uscito avvelenato dalla riunione in prefettura dove la manifestazione è stata autorizzata, quelli di Sisma e delle reti antagoniste territoriali l’hanno accusato pesantemente di essere contrario. «Io invece condivido del tutto i contenuti del corteo. Dico solo che serviva un tempo di riflessione».
Un laboratorio di contraddizioni
Carancini vive una condizione schizofrenica, uno sdoppiamento comune a tutta la città. Sta preparando il discorso per la candidatura di Macerata a capitale italiana della cultura 2020, forte di 55 anni di stagione lirica, 500 eventi culturali l’anno... E ha questa modernità assassina sull’uscio del municipio. «Dopo il raid di Traini avevamo pensato quasi di non presentarci più, ci raccontavano come un concentrato di ferocia», sussurrano i suoi: «Ma noi non siamo così. Noi ci rialziamo. Abbiamo ricostruito due delle tre scuole colpite dal terremoto. Ricostruiremo la nostra immagine».
Macerata è alla fine un piccolo laboratorio delle nostre contraddizioni. E delle nostre speranze. Giulia, del bar «Centrale.eat», dice che sì, un po’ di paura ce l’ha, specie con quel suo pancione da quinto mese. Ma dice anche che resteranno aperti, vivaddio, a meno che non si metta proprio male: «Magari qualche caffè serve...».
Il sindacalista in pensione: «Adesso la sinistra mi sembra da manicomio: un fascista spara e loro si dividono»