La campagna senza manifesti
La vicenda
● Il 28 dicembre il capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto di scioglimento di Camera e Senato, controfirmato dal premier Paolo Gentiloni: si è conclusa la XVII Legislatura, in carica dal 15 marzo 2013, che resta comunque in regime di proroga fino alla nomina dei nuovi parlamentari
● Il presidente della Repubblica ha fissato per domenica 4 marzo la data delle prossime elezioni politiche
● Le due nuove Camere, elette dall’esito del voto, si riuniranno per la prima volta il prossimo 23 marzo ROMA «Una volta nelle campagne elettorali si stampava perfino il programma» ricorda Calogero Mannino, democristiano di lungo corso che ha vissuto decine di battaglie gareggiando per uno scranno a Palazzo Madama o a Montecitorio. «Gli elettori — racconta — ti fermavano e desideravano avere il programma. E io cosa facevo? Glielo consegnavo e nell’ultima pagina inserivo un santino». Era un’epoca fa quando la carta dominava la scena pre-elettorale. Quando le piazze erano animate da comizi ma anche dai manifesti in ogni suo angolo. E quando fra i partiti si consumava una vera e propria battaglia per tappezzare i muri della città. Il tutto accompagnato da una produzione gigantesca di carta.
Carta che oggi sembra scomparsa dalla campagna elettorale, sostituita dai social network e dai talk show televisivi. I pochi tabelloni dedicati alla propaganda sono «puliti». Anche le cassette postali sono vuote, senza i cosiddetti «santini», le immagini dei volti dei candidati. Nel 1985 Ignazio La Russa era il segretario del Fronte della Gioventù di Milano. Nel cuore della notte venne svegliato da suo fratello e da Amedeo Langella. Il motivo? «Mio fratello e Langella — ricorda La Russa — mi presero di soprassalto perché durante una delle operazione di attacchinaggio i nostri furono aggrediti dai comunisti. E di conseguenza mi chiesero cosa avrebbero dovuto fare. Alcuni rimasero feriti ma non vollero andare in infermeria perché sarebbero stati arrestati». Riavvolgendo il nastro La Russa ricorda un aneddoto della campagna elettorale del 1972 quando si recò a Catania con un gruppo di ragazzi del Fronte della Gioventù per aiutare il padre candidato al Senato. «Non ci fermammo nemmeno un minuto. Era una gioia attaccare i manifesti senza rischi e pericoli. Fin quando alle 6 e 45 trovammo un bar e gli dissi: “Basta, facciamo colazione”».
Era così in quegli anni. I partiti studiavano la strategia migliore per oscurare l’avversario. In particolare, spiega Ugo Sposetti, ex Pci e tesoriere dei Ds, «la sera del venerdì prima del voto era quella decisiva: se tu non controllavi eri fottuto perché ti oscuravano il simbolo». E c’è di più: Umberto Bossi curava personalmente la grafica dei manifesti che poi sempre di notte assieme a un giovane Roberto Maroni avrebbe incollato lungo i muri della provincia lombarda. Protagonista indiscusso era il «santino elettorale». Se ne stampavano fino a centomila. Lo testimonia