Caso Weinstein, suicida una produttrice
Fu accusata di aver coperto il magnate. La famiglia: «Vittima di una storia orrenda»
Soffriva di depressione WASHINGTON e di «disordine bipolare». Jill Messick, produttrice di Hollywood, si è suicidata mercoledì 7 febbraio, a Los Angeles. Aveva 50 anni, sposata, due figli.
Secondo la famiglia, con la sua morte c’entra anche il caso Weinstein. Nell’autunno del 2017, in un’intervista al New York Times l’attrice Rose Mcgowan, 44 anni, chiamava in causa pesantemente Messick: «Non mi ha difeso dagli abusi di Harvey Weinstein». Mcgowan raccontò che durante il Sundance Festival, nel 1997, fu stuprata dal produttore più potente d’america. La rivelazione, insieme con quelle di Ashley Judd, Asia Argento, Gwyneth Paltrow e tante altre, innescò il movimento #metoo. Jill Messick si trovò all’improvviso nella zona d’ombra, tra quelle figure accusate, più o meno esplicitamente, di aver ignorato per anni le denunce, o, peggio, di aver coperto gli abusi.
Nel 1997 Jill aveva appena cominciato a lavorare con la Addis Wechsler, un’agenzia di procuratori per le star del cinema. Una delle sue prime clienti fu Mcgowan. Le procurò un appuntamento la mattina presto con Weinstein, al festival. Ma per la famiglia Messick le cose andarono così: l’attrice accettò di spogliarsi e di entrare nella vasca da bagno con Weinstein. Poi riferì tutto a Jill, dicendo di aver fatto «un errore» di cui si era pentita. Ma non usò mai la parola «stupro». Della vicenda si occuparono i vertici della Addis Wechsler e tutto sembrava sistemato perché Mcgowan continuò a partecipare a film prodotti da Weinstein. Alla fine di quello stesso anno, Jill fu assunta dalla Miramax, la casa di produzione di Harvey e qualche tempo dopo cominciarono i disturbi mentali.
Dieci anni dopo, ecco la valanga. Anche Messick viene travolta, secondo quanto si legge in un comunicato diffuso ieri della sua famiglia. «Jill è diventata vittima della nostra nuova cultura della condivisione illimitata delle informazioni e dall’attitudine ad accettare delle affermazioni come dati di fatto. La velocità di queste notizie ha accumulato sfiducia nei confronti di Jill, come persona. Sospetti che non poteva e non voleva affrontare. Così è diventata un danno collaterale di questa storia già orrenda».