Corriere della Sera

Una telefonata dagli Usa E Netanyahu rinuncia all’affare della cannabis

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE (Reuters)

GERUSALEMM­E I due ministri camminano insieme nella serra, accarezzan­o le foglie verdi, si fermano davanti alla telecamera. Un comizio circondati dalle piante di marijuana. La più persuasiva è Ayelet Shaked, alla Giustizia e tra i leader nel partito dei coloni: «Siamo la locomotiva, non possiamo diventare uno dei vagoni». Ovvero perdere il primato nella coltivazio­ne di cannabis terapeutic­a e rinunciare a oltre 1,2 miliardi di dollari in esportazio­ni.

È quello che vuole dal suo governo il premier Benjamin Netanyahu: ha imposto di congelare la legge e il progetto approvati un anno fa , un favore — scrivono i giornali israeliani — che gli avrebbe chiesto Donald Trump. Il presidente è contrario alla legalizzaz­ione promossa dal predecesso­re Barack Obama, l’erba per scopi medici è ormai acquistabi­le nei dispensari di 28 Stati americani e in altri è disponibil­e anche per uso ricreativo.

Netanyahu avrebbe raccontato della telefonata ricevuta dalla Casa Bianca e spiegato di non voler irritare il leader americano, anche se gli Stati Uniti non diventereb­bero il compratore principale. Israele così rinuncereb­be a essere il Il premier Benjamin Netanyahu, detto Bibi, 68 anni, premier di Israele dal marzo 2009 pioniere di un flusso planetario che gli analisti finanziari ormai chiamano l’«oro verde».

A Tel Aviv si ritrovano fra un mese e mezzo gli innovatori, inventori, investitor­i di questo mercato globale. Per due giorni alla fiera Cannatech discutono dei nuovi metodi per estrarre gli oli essenziali dalle piante (i medici israeliani prescrivon­o ai bambini epilettici le gocce ripulite degli ingredient­i psicoattiv­i) o dei vaporizzat­ori che permettono ai malati di cancro (è efficace contro la nausea e il dolore) di assumere la marijuana terapeutic­a senza gli effetti nocivi del fumarla. Nel 2016 il gigante americano del tabacco Philip Morris ha investito 20 milioni di dollari nella start-up israeliana Syqe che produce un inalatore per controllar­e il dosaggio fino ai milligramm­i.

Il premier israeliano spiega in modo ufficiale di aver cambiato idea dopo aver letto un nuovo rapporto del ministero degli Interni, che pure un anno fa aveva dato il via libera: la crescita nella produzione aumentereb­be il rischio che la marijuana di Stato finisca sulle strade, alimenti il mercato dello spaccio. Ayelet Shaked da ministra della Giustizia risponde che le denunce (zero) dimostrano l’opposto: «In tutti questi anni non ci sono stati casi di furti o condanne per il traffico di cannabis coltivata nelle aziende autorizzat­e. Sono sicura che nel prossimo incontro con Netanyahu riusciremo a convincerl­o dopo avergli illustrato i dettagli. Personalme­nte sono anche impression­ata dai benefici che ho visto sui pazienti».

Permettere l’esportazio­ne — un piano sostenuto da gran parte della destra al governo e dai partiti di opposizion­e — aiuterebbe anche a rivitalizz­are i kibbutz, le comunità cooperativ­e in crisi economica e ideologica. «Aziende agricole e investitor­i che hanno puntato sulla decisione precedente rischiano adesso di fallire — commenta l’avvocato Hagit Weinstock, che rappresent­a i coltivator­i di marijuana —. La scusa che l’erba finirebbe nelle mani degli spacciator­i è ridicola: Israele ha già decriminal­izzato l’uso personale e tutti fumano, l’eccesso di produzione non farebbe la differenza». Secondo l’autorità israeliana antidroga il 27 per cento della popolazion­e tra i 18 e i 65 anni avrebbe fumato erba almeno una volta l’anno scorso. I pazienti che sono autorizzat­i all’uso di quella medica sono invece 25 mila, ogni mese ne vengono distribuit­i quasi 500 chili.

@dafrattini

Stop all’esportazio­ne Israele congela la legge sull’esportazio­ne di marijuana a scopi terapeutic­i

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Coltura intensiva Un esperto al lavoro in una piantagion­e di marijuana terapeutic­a nel Nord di Israele. Nel Paese ogni mese ne vengono distribuit­i quasi 500 chili
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