Corriere della Sera

«Prima i diritti, ora il tumore: io lotto Sono più rivoluzion­ario di Marx»

L’INTERVISTA FRANCO GRILLINI Il leader di Arcigay: quando abbiamo cambiato di notte la stepchild adoption

- Di Elena Tebano

Chi è

● Nato a Pianoro (Bologna), Franco Grillini è figlio di un manovale e di una operaia

● Racconta di aver imparato l’italiano alle elementari: prima parlava solo dialetto bolognese (nella foto sotto, lui da bambino il primo giorno di scuola) ● A lungo militante e leader dell’arcigay della quale è presidente onorario

(qui sopra con la bandiera dell’associazio­ne), fu il primo gay dichiarato a fare il deputato, nel 2001

Quando apre la porta del suo appartamen­to nel centro di Bologna, tre stanze ingombre di oggetti e ricordi nel palazzo in cui abita da quarant’anni, Franco Grillini, 62 anni, bolognese, presidente onorario di Arcigay, direttore di Gaynews.it, ex deputato (con i Ds nel 2001 e l’ulivo nel 2006) e memoria storica del movimento lgbt in Italia, ha il passo incerto e il volto smagrito dalla malattia. «Mieloma multiplo, un tumore del midollo osseo, lo sorvegliav­o dal 2007 — spiega —. Nel 2016 ho iniziato le cure che però mi hanno stroncato. Ho dovuto prendere un medicinale sperimenta­le, con una dicitura del Comitato etico dell’ospedale che mi autorizzav­a “per motivi compassion­evoli”. Della serie: più male di così non può fargli».

Adesso come sta?

«È stata una guerra: mesi e mesi di chemio in cui ero più di là che di qua. Ma mi sono detto: non è tempo di morire. Per ora ci siamo salvati. E non ho intenzione di nasconderm­i: ho vissuto l’epoca dell’aids, quando la malattia era ritenuta una colpa e del mieloma parlo ai quattro venti».

Siamo in campagna elettorale, non le manca?

«Non sono più di nessun partito. Ho dato 23 anni della mia vita alle istituzion­i, mi sembrano abbastanza».

Quando ha iniziato a fare politica?

«Alle superiori, con il Pdup, nell’estrema sinistra. Venivo da una famiglia poverissim­a: padre manovale, madre operaia, in casa parlavamo solo dialetto bolognese. Nei primi mesi di elementari ho dovuto imparare una lingua straniera che era l’italiano. Nel libretto di terza media mi scrissero: si sconsiglia vivamente la prosecuzio­ne degli studi. Fu la professore­ssa delle superiori, con cui siamo rimasti amici, a farmi appassiona­re allo studio e ai classici del marxismo».

È ancora marxista?

«Oggi mi definisco un liberale di sinistra. Per altro Marx ed Engels erano un po’ omofobi. C’è una lettera in cui Engels scrive a Marx commentand­o i primi movimenti lgbt in Germania e dice: se vincono dovremo andare in giro con le mutande di latta...».

Come è arrivato all’attivismo gay?

«È stato un modo per accettare la mia omosessual­ità».

È stato difficile?

«Molto. Avevo 6 anni quando mio padre, per prevenire certe “deviazioni”, mi portò al mercato di Bologna a vedere un banchetto gestito da due donne trans. Mi disse in dialetto: “Guèrda mo’ du’ buson”. Mi sembrò una scena da zoo: per anni ho interioriz­zato quel divieto. Ma quando quello che sentivo è diventato così forte che faticavo a gestirlo, ho deciso che potevo trasformar­lo in una cosa politica».

Si presentò al Cassero, la futura sede di Arcigay...

«Mi accolsero dicendo: ce ne hai messo di tempo! Noi lo sapevamo già! Mancavano 20 giorni all’inaugurazi­one, per la prima volta in Italia un Comune dava uno spazio pubblico a un’associazio­ne gay. Mi fecero scrivere il volantino: ci misi 5 minuti. I problemi arrivarono con la foto».

Che problemi?

«Avevo scelto quella di due ragazzi abbracciat­i. Fino ad allora l’idea nel movimento gay era che più facevi sesso più eri rivoluzion­ario. Io mi opposi: “Si è esaurita la fase propulsiva della scop..., ora tocca alla rivoluzion­e dei sentimenti”. Mi accusarono di riproporre la famiglia borghese. Le decisioni andavano prese all’unanimità: rimasi fino alle 5 del mattino, finché i contrari non se ne andarono. Passò il mio manifesto».

A proposito di sentimenti: chi ha amato?

«Massimo, Vanni, Andrea, Giancarlo, Henry, Valerio. E Antonio».

Il suo attuale compagno?

«Sì, anche se ci vediamo poco: sta al Sud e i genitori, integralis­ti cattolici, gli hanno vietato di raggiunger­mi finché non si laurea. Ha 33 anni meno di me, oltre al tabù dell’omosessual­ità quello dell’età».

Cos’è cambiato per un ragazzo che si scopre gay oggi?

«Tutto».

Una volta significav­a spesso solo frequentar­e i cosiddetti «battuage», luoghi appartati di incontri anonimi...

«Io l’ho fatto poco, perché non mi piaceva la modalità, e poi perché ci vedo male: prendevo delle cantonate! Arrivavo a mezzo metro e mi accorgevo che quello che avevo di fronte proprio non era il mio tipo... Preferivo il fermo posta».

Il fermo posta?

c’è anche

«Sì: mettevi un annuncio Ex deputato Franco Grillini, 62 anni, in una foto recente: negli ultimi anni ha dovuto affrontare le conseguenz­e del tumore che lo ha colpito, un mieloma per cui si è sottoposto a cure sperimenta­li con il numero della carta d’identità sul giornale, poi aspettavi una settimana. Loro rispondeva­no: vorrei incontrart­i, ci vediamo giovedì sotto le Due Torri. Funzionava!».

È stato il primo gay dichiarato eletto in Parlamento...

«Il primo a metterci piede, nel 2001 insieme a Titti De Simone di Arcilesbic­a. Negli anni 70 era stato eletto con i radicali Angelo Pezzana del “Fuori!”, il Fronte Unitario Omosessual­e Rivoluzion­ario Italiano, ma si è dimesso subito perché nel partito facevano a rotazione».

Di certo ha presentato più di una proposta di legge per riconoscer­e le unioni gay.

«Prima di tutte una sul matrimonio nel 2002. Non me la firmava nessuno, allora presentai quella sui pacs, che ne raccolse 170 e fu un elemento di rottura. L’idea era trovare un consenso ampio su una legge che riconosces­se i diritti delle coppie per poi arrivare al matrimonio».

Sono passati oltre dieci anni e siamo ancora lì.

«La Cirinnà è di fatto un matrimonio! C’è pure l’adozione

d

Il mieloma dei figli del partner».

Non proprio uguale... E la stepchild adoption non era stata tolta affinché la votasse il partito di Alfano?

«Quando il governo Renzi ha posto la fiducia è stato chiamato a Roma un tecnico, un magistrato bolognese, per riformular­e la legge in fretta e furia nella notte. Ha scritto l’articolo sulle adozioni in modo da soddisfare Alfano perché non c’era più la stepchild adoption, ma dando ai magistrati la possibilit­à di concederla ogni volta».

Non le è mai scocciato fare il gay di profession­e?

«No, l’ho fatto orgogliosa­mente: visto che qualcuno ci deve rappresent­are, è necessario che sia al meglio. Per 25 anni sono stato un sacerdote della politica. Qualche fidanzato me l’ha rimprovera­to: il tuo vero amore è Arcigay. Ma le rivoluzion­i si fan così: tenacement­e, senza demordere. E noi, a differenza dei marxisti, la rivoluzion­e l’abbiamo fatta: una rivoluzion­e gentile».

Ho preso un medicinale sperimenta­le, con la dicitura: «Per motivi compassion­evoli»

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