Corriere della Sera

Tendenza Meryl

Non è mai stata troppo bella eppure ha dominato Hollywood. A quasi 70 anni è diventata un’icona delle giovanissi­me. Che si tatuano il suo nome e si fanno chiamare streepers

- di Stefano Landi

Una ragazzina con istinti ribelli, un adolescent­e in cerca di se stesso, una sciura impellicci­ata e un cinefilo seriale di quelli con gli occhiali scuri e il dizionario dei film come intercalar­e. Se cercate un modo per metterli d’accordo o siete in difficoltà in una discussion­e con uno sconosciut­o, provate a parlare di Meryl Streep. I giovani d’oggi in carenza di icone generazion­ali hanno deciso di andare sul sicuro. Tanto da tatuarsi addosso, nel senso più fisico del termine, pensieri e parole di una donna non più giovane e nemmeno troppo bella. Al punto che, come racconta sempre lei, nel 1975 fu addirittur­a scartata da Dino De Laurentis per la parte in King Kong per presunti limiti estetici. Per nulla gossippara né gossippabi­le, sposata da 39 anni con lo stesso scultore (Don Gummer) con cui ha avuto 4 figli. Insomma si parla tanto di Meryl Streep solo per meriti.

Meryl sa farsi ascoltare. Dal vicino di casa come dal presidente degli Stati Uniti. Appunto Trump, uno dei pochi a non avere la sua foto sul comodino. La definì «una delle attrici più sopravvalu­tate, una lacchè di Hillary Clinton». Per cosa si era offeso? Per il discorso di Meryl ai Golden Globe 2017, quando lei, senza mai sprecare il suo nome, attaccò quell’america che vuole chiudersi in se stessa: «In questo momento appartenia­mo al gruppo di persone più denigrato della società americana. Hollywood, gli stranieri, la stampa. Hollywood è piena di stranieri e se li cacciamo tutti non resterà altro da guardare che il football e le arti marziali miste» disse quel giorno.

Meryl è arrivata a uno di quei punti della vita in cui si perde la voglia di compiacere chi non sta dalla tua parte: «Non sopporto conflitti e confronti. E nonostante creda in un mondo di opposti, evito le persone rigide e inflessibi­li».

Tanto la forza di Meryl Streep resta la credibilit­à. Da Julia a The Post sono 53 i film a curriculum e anche quando si spinge nel terreno più soft della commedia riesce a non essere mai troppo leggera. Restando una delle maggiori star di Hollywood di tutti i tempi, con il record di 21 candidatur­e ai premi Oscar a marcare il territorio. Come lei, nessuno mai. Tre statuette se le è messe in salotto, per Kramer contro Kramer (1979), per La scelta di Sophie (1982) e per The Iron Lady (2011). A cui si sommano 9 Golden Globe su 31 nomination. E pensare che al cinema c’è arrivata di rimbalzo. A 12 anni si scatenava davanti allo specchio provando i motivetti che imparava durante le lezioni di canto.

Meryl Streep è una donna che ama le battaglie, a costo di stare dalla parte più scivolosa della barricata. Difende le donne, nella vita, come sul lavoro: «Molti sono ancora sorpresi che io e Tom Hanks siamo stati pagati allo stesso modo per The Post. Più che femminista però amo definirmi umanista, perché amo, senza alcuna distinzion­e, l’intera umanità», dice lei in modo ecumenico. Meryl è considerat­a un punto di riferiment­o anche dalla comunità Lgbt, che sbandiera La morte ti fa bella e Silkwood come film manifesto. Dura, ma mantenendo intatta la sua tenerezza: «C’è stato un tempo in cui anch’io sono stata fragile e insicura. Anzi, l’insicurezz­a mi prende ancora, quando per esempio devo decidere se accettare di fare un film. Mi è successo anche in occasione dell’ultimo film di Spielberg».

Si batte per tutti, pure per gli animali e un pochino anche per se stessa. L’ultima sfida è quella per riparare il proprio cognome dallo sfruttamen­to (altrui). Per questo ha deciso di mettere il copyright sul suo cognome, per tutelare ogni apparizion­i dal vivo, in tv o al cinema, ma anche i discorsi e i autografi che semina in giro per il mondo ai fan. Un modo per impedire ad altri di usare o vendere il suo nome in campo commercial­e. In passato l’avevano fatto artisti che della spocchia avevano fatto una religione. Rapper come 50Cent o starlette come Paris Hilton. Ecco, questo non è il caso di Meryl. Una che, al netto di ogni bravura, preferisce non tirarsela. Lo dicono gli amici, ma anche i colleghi e pure chi non l’ha mai conosciuta ma può misurare il suo lato pubblico. Non è

Vita privata Da 39 anni è sposata con lo scultore Don Gummer: i due hanno quattro figli

La credibilit­à La forza dell’attrice, la più premiata della storia, è la credibilit­à: «Più che femminista — ha detto — io amo definirmi un’umanista»

arrogante, proprio perché non è provincial­e né pettegola. «Nell’amicizia non mi piace la mancanza di lealtà e il tradimento. Per questo non mi accompagno con chi non sappia incoraggia­re o elogiare: i sensaziona­lismi mi annoiano».

Qualche settimana fa, in occasione della prima di The Post a Milano, c’erano centinaia di ragazzine incollate alle transenne solo per poterla guardare negli occhi. Non si erano mai viste prima nella vita vera, ma si tengono in contatto quotidiana­mente sulla pagina Facebook del fan club italiano. Tra di loro si chiamano streepers. Un paio di genitori, in età Meryl, per capirci, aspettavan­o nel buio delle retrovie per non sfigurare nella platea teen. Avrebbero infiniti motivi di essere felici che i loro figli abbiano preso a modello una donna del genere, invece di una qualunque popstar sballottat­a dal successo. Eppure sono increduli: «La ascoltano più di noi. Come fa a trasmetter­e un messaggio ai nostri figli che ha 50 anni in più?». L’unica risposta possibile è allo stesso tempo la più facile. Ha stregato tutti solo perché è molto brava.

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