Dentro la fabbrica dello stivale invisibile L’idea è francese, il «saper fare» è italiano
Chanel e le calzature in pvc prodotte da Roveda. «Possiamo realizzarle solo qui»
La storia ● Dal 2013 direttore generale di Roveda è diventato Didier Bonnin (nella foto); dal 2015 ha messo in atto un progetto di rinnovamento e restyling, puntando sui giovani
Trasparente, leggero, resistente. Praticamente invisibile. Non un risultato, una sfida: vinta dalle manifatture calzaturiere made in Italy, ma per realizzare un’intuizione stilistica made in France. Quella di un esigente creativo come Karl Lagerfeld, magister di Chanel. L’«intuizione» è l’utilizzo del pvc per ottenere uno stivale, anche nella vertiginosa altezza cuissard, con punta a contrasto e tacco in plexiglass, cardine della collezione Chanel estate 2018, sfilata a Parigi al Grand Palais sotto cascate vere. Non quelle del Niagara, ma delle Gole del Verdon in Provenza: acqua a precipizio da 15 metri. Lagerfeld ha sublimato le plastiche degli accessori «usa e getta» rendendoli oggetti del desiderio. Re-inventando anche uno degli elementi chiave dello stile di Coco: gli stivali. Mademoiselle Gabrielle li calzava sin dagli anni ‘20 ai concorsi ippici a Eaton Hall, al fianco dell’amato duca di Westminster; li abbina poi ai suoi tailleur: nel 1958 si fa fotografare con Marie-hélène Arnaud, la sua «top» di riferimento.
Nulla di più arduo del mutuare un velo di plastica in una calzatura con tale genealogia. Non solo resistente, ma capace di rispondere ai dettami di accessorio di lusso. Il risultato lo ottieni solo se puoi contare su un saper fare artigianale capace di trasformare un’idea in concretezza. Per questa ragione Chanel il capitolo calzature l’ha concentrato nel nostro Paese. «Sono 4700 le aziende italiane di piccola media dimensione, occupate nel comparto calzaturiero e capaci di realizzare prodotti di alto livello: in Francia oggi non si arriva a 100. I prodotti eccellenti si possono ottenere solo da eccellenti produttori. A prescindere dalla nazionalità. Chanel non poteva che scegliere l’italia per le calzature».
La filosofia della griffe è sintetizzata da Didier Bonnin, amministratore delegato Roveda: azienda classe 1955 e dagli anni 80 storica partner di Chanel è stata acquisita dalla griffe da circa due decenni; oggi dai suoi laboratori escono inscatolati come opere d’arte, gli stivali «invisibili», nei negozi di tutto il mondo durante le prossime fashion week donna. «Manualità supportata da tecnologia: un’industria del saper fare artigianale», dice Bonnin.
I fogli di pvc, stressati, messi sotto trazione e fatti cuocere; testati sul punto di lacerazione e la reazione alla traspirazione. Superati tutti i passaggi, il pvc diventa come seta. Mani veloci ed esperte li plasmano a vapore per dare la forma del piede e poi inserire Coco la punta a contrasto, nera o bianca. Chirurgica la realizzazione dei fori per consentire alla gamba di respirare; manuale è la «scarnificazione» del cuoio per l’assemblaggio della suola; lo è l’operazione di avvitamento di ogni singolo tacco, come la lucidatura. Attenzione certosina e sartoriale a ogni minimo dettaglio per «vestire il piede».
Dal 2013 Roveda fa capo al manager francese, anche responsabile del calzaturificio abruzzese Gensi, dove si producono le sneaker della griffe. Ne è derivato un micro polo del lusso calzaturiero, capace di unire due distretti italici, quello lombardo (Roveda ha sede a Parabiago: calzature Dettagli
Da sinistra i tacchi in plexiglass per gli stivali in pvc, qui in due delle tre misure; i laboratori Roveda dove sono realizzati i modelli Chanel sotto lo sguardo di Mademoiselle; le scarpe bicolore sin dall’800) e quello del centro Italia. Non solo. La filosofia Chanel non è quella dell’acquisire, inglobare e cancellare le radici. Al contrario preservare quelle di ogni singola realtà.
Lo fa sin dal 1985 con il progetto «Métiers d’art», acquisire e preservare le alte artigianalità: nel 2020 pronto un nuovo quartier generale (un edificio di 25 mila metri quadrati, progetto di Rudy Ricciotti ad Aubervilliers, nell’île-de-france), dove saranno riunite le attuali 11 «maisons d’art» di proprietà: dai ricami di Lesage alla guanteria Causse. Preservate identità e attività. Nel caso di Roveda tutelata la versatilità.
«Questa è un’azienda da sempre in grado di trasformaree produrre: dall’idea al prodotto finito», evidenzia Bonnin. Ha 310 dipendenti impegnati su un portfolio di 10 marchi diversi: da Schiaparelli a Victoria Beckham, da Thom Browne a Giannico. «Una realtà che non può essere snaturata: ha sempre prodotto per altri e deve continuare a farlo. Mantiene alto il livello qualitativo. I nostri artigiani si trovano ad affrontare non un lavoro ripetitivo ma sfide continue».
Tutto parte dal disegno a mano mandato dallo stilista, poi rielaborato al computer e trasferito su forme in cartone da cui derivare ogni singolo componente. Con l’arrivo di Bonnin l’azienda ha subito un vero restyling oggi a pieno regime: sviluppo delle tecnologie per i test, creazione di veri atelier a cui ogni singolo stilista può appoggiarsi con un ufficio stile, ma anche spazi comuni per i lavoratori. Trascendere il concetto di fabbri- ca a favore di comunità creativa: con tanto di Agorà dove ritrovarsi a discutere o poter concedersi una pausa wellness. Proiezione sul futuro, con la formazione. «Dal 2016 è nata l’academy, attualmente con 15 giovani allievi, per garantire il ricambio generazionale trasmettendo i segreti del savoir-faire. Bisogna porre la massima attenzione ai giovani. Sono il nostro futuro anche a livello creativo. Le loro intuizioni in fatto di stile e di materiali sono fondamentali. Permettono di continuare a riuscire a realizzare i sogni».
Il confronto
«Sono 4.700 le piccole aziende italiane calzaturiere di alto livello: in Francia 100»