Spie sportive e falsi giornalisti
Sono anche Giochi di spie. Certo, è normale che ci siano decine se non centinaia di agenti dei servizi segreti intorno a questa Olimpiade nella penisola coreana ancora tecnicamente in guerra. Ma poi ci sono anche spie sportive: sulla pista dello short track di pattinaggio veloce i nordcoreani filmano gli allenamenti dei cinesi e degli altri avversari più temuti. Impiegano telecamere da 16 millimetri per cogliere punti di forza e di debolezza. Sarebbe più o meno
vietato, ma chi si può permettere di aprire un caso con la delegazione nordcoreana invitata per assicurare la tregua olimpica (niente missili o attentati) e avviare un dialogo con il Sud? E nessuno si sogna di chiedere per quale testata lavorino i 21 giornalisti accreditati nella loro delegazione dai nordcoreani. Il sospetto più che fondato, in base a esperienze precedenti, è che i cronisti di Kim siano in realtà agenti di Kim. Incaricati di vegliare su atleti, majorettes e musiciste in modo che a nessuno venga in mente di tradire e defezionare. D’altra parte, quella del giornalista è la copertura classica per la spia, come ci insegna Kim Philby: il doppiogiochista inglese che serviva il Kgb fingendo di lavorare per L’MI6, nel 1963 fuggì in Russia da Beirut dove era accreditato come corrispondente per l’observer e l’economist. A Londra se ne accorsero perché non aveva mandato il pezzo al giornale, lui che era così puntuale.
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