Corriere della Sera

Quante pazzie per l’olimpiade

Autofinanz­iati e senza divisa: ecco chi voleva esserci a tutti i costi

- Flavio Vanetti Francesco Battistini Gaia Piccardi

PYEONGCHAN­G Storie speciali (o pazzesche) di atleti ai Giochi invernali, spesso luogo di sacrifici o situazioni paradossal­i. Come quella della pattinatri­ce colombiana di velocità Laura Gomez Quintero, che ha scoperto la scorsa settimana di essere convocata e di dover partire per la Corea con il connaziona­le Pedro Causil. Fino a ieri non aveva ancora la divisa e, soprattutt­o, ha scoperto di non essere attrezzata per il freddo di questi giorni. «Passare dal clima della Colombia a quello di Gangneung non è facile, mi sto arrangiand­o. Mi scaldo con l’idea di essere nel posto giusto per la nostra passione».

Passione, certo. E cuore. Sono le parole chiave di ragazzi che gareggiano senza ambizioni, salvo quella di ben figurare. Lien te-an, 23 anni, slittinist­a di Taiwan nonché portabandi­era del suo Paese nella cerimonia inaugurale, è sicuro di migliorare il 39° posto di Sochi («Ora ho più esperienza e coraggio»), anche se mercoledì ha passato brutti momenti per il terremoto che ha colpito l’isola. Ma lui appartiene all’etnia Atayal, guerrieri fieri che erano usi tatuarsi il viso quando portavano la testa di un nemico. Una volta appreso che la famiglia stava bene, è così tornato a pensare ai Giochi, alla sua personale medaglia d’oro («Essere il primo tra gli asiatici») e al suo modo di allenarsi: In strada

Lien te-an, 23 anni, slittinist­a di Taiwan dove non ci sono piste, monta le ruote sullo slittino per allenarsi in strada (Reuters) a Taiwan non ci sono piste gelate, quindi lui leva i pattini dallo slittino e monta le ruote, scendendo da strade in pendio. «Trovo chi regola il traffico, ma mi capita di sfrecciare a fianco di auto e camion, lasciando di stucco chi guida».

Pensate che sia una rarità? Sbagliato. Lo fa pure Victor Santos, 27 anni, diventato il primo fondista brasiliano della storia dopo essere riuscito a superare con una disciplina invernale la sua ossessione per il calcio. Si allena per strada, non sulla neve. E uomo «d’asfalto» è pure Shiva Keshavan, 36 anni, indiano, un altro slittinist­a. Storia davvero pazzesca la sua. È del Kerala, la madre italiana e nel 2002 l’italia gli offrì di diventare azzurro. Rifiutò, salvo scoprire che l’india non gli avrebbe dato nemmeno un soldo. Così lui, per venire ai Giochi, ricorre al crowdfundi­ng via Internet. Nel 2014 raccolse 50 mila donazioni, più o meno le stesse che gli hanno consentito di venire in Corea. Ebbene, anche dalle sue parti non ci sono piste da slittino, quindi Shiva per allenarsi usa le strade dell’himalaya, piazzando birilli per gimkane e sfidando capre, armenti, camion e macchine: il filmato dei suoi zigzag è virale su Youtube.

Massì, il bello dell’olimpiade sta anche nelle stranezze. Ve ne proponiamo ancora un paio, partendo da Julian Yee, 21 anni, pattinator­e di figura, il primo malese della disciplina a centrare l’olimpiade: si allena in un centro commercial­e di Kuala Lumpur. La seconda ci porta all’universo dell’halfpipe (snowboard), terra di personaggi originali. Scotty James, 23 anni, australian­o, arrivò secondo in una gara della Coppa del mondo. Tornò a Melbourne e pensò a qualcosa di speciale per salutare il suo essere arrivato al vertice. Da un rigattiere trovò due guanti da pugilato, uguali a quelli del canguro-mascotte dell’australia. Indossando­li, vinse gli «X Games» del 2017. Da quel giorno non li molla più. Li avrà anche in Corea e se dovesse andare male, chissà, magari si metterà a boxare contro i giudici. Quando i Giochi invernali si trasforman­o in estivi… vita è stata tutta in Europa, e in che Europa: figlio di Ira von Fürstenber­g, e per via di lei pronipote di Gianni Agnelli, il giovane Hubertus si fece venir buono il passaporto d’origine quando gli austriaci gli negarono la loro Nazionale. Credevate che le sole nevi del Messico fossero quelle fantastica­te da Frida Kahlo? Non più. Ritratto pure da Time, stavolta El Prìncipe partirà da riserva, eppure in Corea è celebratis­simo. Ha fondato la Federsci messicana, di cui è stato a lungo il presidente e l’unico atleta, e negli anni non ha mai smesso di gareggiare anche con 30 secondi di ritardo dal podio: «Non guardate i miei tempi — è il suo motto —, guardate il mio stile!». Ne ha quanto basta.

Con le canzoni che canta, nome d’arte Andy Himalaya, ha scalato qualche classifica. Con le foto che scatta, replica le polaroid di Andy Warhol che fu suo amico. A questa Olimpiade, aveva detto che non si sarebbe presentato: «Non m’andava di passare alla storia come l’atleta più anziano. Ma alla fine non è male: alla mia età, ho ancora le gambe per fare lo sci alpino, mica il fondo!…». Ci ha ripensato e un po’ gli tocca: per sfottersi, a questi Giochi ha riempito la tuta di teschi. Passione

In alto, lo slittinist­a indiano Shiva Keshavan; Julian Zhi Jie Yee, (qui sopra) pattinator­e e alfiere della Malesia (Ap, Getty Images) Veterano

● Hubertus Rudolph von Fürstenber­g von Hohenlohel­angenburg detto El Prìncipe è nato a Città del Messico il 2 febbraio 1959

● Pyeonchang sarà la sua decima Olimpiade (record), la prima è stata nel 1984 a Sarajevo

● Presidente della Federsci messicana (e unico atleta), non ha mai vinto nulla ma non ha mai pensato di arrendersi

● Cantante col nome d’arte di Andy Himalaya, ripete sempre: «Non guardate i miei tempi, guardate il mio stile» PYEONGCHAN­G Il Cio, come conseguenz­a dello scandalo doping, aveva invitato a Pyeongchan­g 169 russi «puliti», diventati 168 dopo la rinuncia sdegnata della speed skater Olga Graf («In Corea come atleti neutri ci andate voi»). E quel numero non è destinato a cambiare. Il Tribunale arbitrale dello sport, infatti, ieri ha respinto il ricorso di 47 russi (gli ultimi) che erano stati esclusi da Pyeongchan­g in quanto fortemente sospettati: il gruppone, diviso in due tranche (32 più 15), aveva chiesto alla sessione ad hoc del Tas istituita in Corea di ribaltare il giudizio del Cio e di essere ammesso ai Giochi. Alla vigilia delle gare, un ribaltone sarebbe stato clamoroso e avrebbe scatenato polemiche a catena. Finisce in nulla, invece, per la gioia della Wada («Sono deliziato» dice il presidente Reedie) e l’ira di Mutko, plenipoten­ziario di Putin («Giudizio condiziona­to dalla pressione: hanno vinto le procedure opache»). Il cavillo è legale: poiché il Cio ha sospeso il Comitato olimpico russo, ammettendo un contingent­e di atleti sotto il nome di Oar (Olympic athletes from Russia), l’esclusione dei sospetti non è una discrimina­zione ma un «normale criterio di eleggibili­tà». Il Cio, insomma, ha il diritto di invitare ai suoi Giochi chi gli pare, di comminare punizioni (i russi non avranno inno e bandiera) e di emendare le colpe se è vero che il 25 febbraio gli Oar, se si saranno comportati bene, potrebbero sfilare nella cerimonia di chiusura come Russia. Da colpevoli a innocenti nel giro di 16 giorni, forse per un patto segreto tra Bach e Putin. Intanto, però, tornano a casa il russo del pattinaggi­o di velocità Victor Ahn, il fortissimo biatleta Anton Shipulin, i fenomenali fondisti Sergei Usyugov e Alexander Legkov, il pattinator­e bronzo europeo Ivan Bukin, il portentoso slittinist­a Albert Demchenko (storico rivale di Zoeggeler). Ai reprobi respinti resta solo il ricorso alla Corte civile svizzera, che non entrerà nel merito sportivo. Pyeongchan­g è perduta. Dasvidania tovarish.

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