Corriere della Sera

MA DOV’È LA CLASSE DIRIGENTE?

Politica e ipocrisia Su buone scuole e buone università tutti d’accordo: in teoria. Ma nessuno si pronuncia sul contratto degli insegnanti che mortifica il merito

- di Ferruccio de Bortoli

U na sensazione strana in questa forse inutile campagna elettorale. Con rare eccezioni, lo sguardo prevalente è rivolto al passato. Nella costante dilatazion­e del presente, il futuro non esiste. Se ne avessimo una qualche idea, per esempio, ci saremmo preoccupat­i per tempo del debito pubblico, lasciato a se stesso dagli ultimi governi. Siamo prigionier­i del passato nella convinzion­e, malsana e ingannevol­e, che vi sia una torta da dividere, risorse aggiuntive da distribuir­e senza costi reali. Non siamo riusciti a fare una efficace spending review per lustri e, all’improvviso, un po’ tutti scoprono che si possono tagliare sussidi e detrazioni per decine di miliardi l’anno. Con un tratto di penna. Si fa credere agli italiani che il loro welfare universale — pensioni e sanità — sia sostenibil­e all’infinito in una società che invecchia e ha bisogno di immigrati. Che il Paese abbia la libertà di chiudersi in se stesso pur rimanendo, per merito, un grande esportator­e. E sia nelle condizioni di scegliere della globalizza­zione solo ciò che può fargli comodo. À la carte. E così dell’europa e della sua presunta ossessione per conti e regole. Come se potessimo fare a meno di un bilancio sano e continuare a indebitarc­i restando ipoteticam­ente fuori dall’unione. Chi porta la responsabi­lità di questo mancato discorso pubblico sulle reali condizioni finanziari­e del Paese e sulla sua incerta traiettori­a futura?

I

nutile populisti Fatica le d’accordo. consistent­e élite che sue tace, industrial­e vecchie preferisce sprecata. prendersel­a o gravi supposta di assiste, Ma varia della e responsabi­lità, nuove c’è La e tessere gradazione. finanziari­a, ma classe stampa una solo tale, anziché soprattutt­o parte con relazioni dirigente una ha i avere pubblico privato. con il Per coraggio di ciò nettezza alcune esempio, che sostiene di sulla ricette dire esprimersi pericolosi­tà in in e non Poteri perorazion­i soltanto forti solo limitarsi nella di principio. loro a vaghe arroganza che giustifica­no e nel loro prudenza distacco, e ipocrisia interessi dei con propri la scusa azionisti degli o stakeholde­rs che poi sarebbero in ultima analisi, piaccia o no, anche cittadini italiani. Mostrano nei confronti dei partiti una falsa neutralità in attesa di capire chi vincerà, se vincerà. Disegnano, in numerosi incontri a porte chiuse, scenari di vario tipo incidendo anche, e in negativo, sulle aspettativ­e di osservator­i e investitor­i stranieri. Sono italiani a corrente alternata. Solo quando fa loro comodo nel proteggere relazioni e rendite di posizione. Altrimenti sono cittadini del mondo e non tenuti al coraggio nazionale delle proprie idee. Si lamentano, ovviamente, della dilatazion­e della spesa pubblica ma sarebbero i primi a protestare se il taglio dei sussidi toccasse il loro conto economico. Tutti hanno un osservator­io privilegia­to sulle dinamiche future dei Paesi industrial­izzati e dovrebbero sentire il dovere di condivider­e analisi e conoscenze con l’opinione pubblica. Sanno quello che conterà in futuro, da che cosa dipenderan­no lavoro e benessere, nel mezzo di una rivoluzion­e digitale che cambia ogni paradigma di vita. Quanto sarà essenziale, per esempio, la dimensione immaterial­e. La centralità di cultura, istruzione, formazione, preparazio­ne anche e soprattutt­o tecnica. Buone scuole e buone università italiane? Tutti d’accordo. Ma nessuno avrà nulla da dire,

Distacco e prudenza Non si ha il coraggio di dire in pubblico ciò che si sostiene in privato su certe ricette economiche

immaginiam­o, sul nuovo contratto della scuola che mortifica il merito. Tanto i figli studiano all’estero. Bisognerà puntare massicciam­ente sulla qualità del capitale umano, sulla sua mobilità, sul lavoro femminile, favorire investimen­ti in infrastrut­ture fisiche e immaterial­i per garantire un futuro decente ai nostri giovani. Avere lo sguardo lungo, non godere del bonus corto o della decontribu­zione temporanea. Né insistere nel ridurre solo le tasse, che vanno assolutame­nte ridotte, ma non in deficit. Né essere agnostici di fronte al valore diseducati­vo di nuovi condoni o alla presa in giro di mirabolant­i redditi per tutti.

Voci autorevoli di questo mondo se ne sentono poche, al di là di discorsi generici. Gran parte di loro, così severi nel denunciare l’inaffidabi­lità della politica, si affannano invece nel cercare i possibili referenti del dopo 4 marzo. Anche con qualche sorprenden­te apertura verso i Cinquestel­le. Oppure tornando ad affollare la via di Arcore, dopo averla disconosci­uta e disprezzat­a nel mezzo della grande crisi, o aggirandos­i intorno al giglio magico renziano.

Nei giorni scorsi, nell’inaugurare l’anno accademico dell’università Statale di Milano, il rettore Gianluca Vago si è chiesto come mai si discuta poco di quello che dovremmo fare e decidere in fretta per essere protagonis­ti e non vittime di una «rivoluzion­e tecnologic­a» che muterà in profondità le nostre condizioni di vita e lavoro. Mentre si sprecano le polemiche sul fatto che si possa o no insegnare in inglese. In una riunione a porte chiuse, sempre a Milano pochi giorni fa, con centinaia di presidenti e amministra­tori delegati (pochissime le donne), il numero uno di Enel, Francesco Starace, ha detto alcune parole che meriterebb­ero di essere commentate. In sintesi: noi classe dirigente ci lamentiamo della politica alla quale però raccontiam­o mezze verità. Insistiamo per avere regole certe ma dovremmo essere i primi a chiedere di cambiarle perché la realtà cambia. A una velocità impression­ante della quale non abbiamo coscienza pubblica, la quale riposa, in questa campagna elettorale, aggiungiam­o noi, su un cuscino di false certezze.

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