Corriere della Sera

EUROPA, ELEZIONE DIRETTA PER AVERE PIÙ DEMOCRAZIA

- di Sandro Gozi Sottosegre­tario alle Politiche europee Direzione nazionale Pd

Caro direttore, per il Pd la scelta europea dell’italia è fuori discussion­e. Senza Europa le nostre vite sarebbero peggiori, avremmo meno benessere, meno diritti e meno protezioni. Il 4 marzo l’italia sceglierà se vorrà guidare il nuovo processo di riforma dell’unione, verso gli Stati Uniti d’europa, o restarne ai margini, illudendos­i di poter chiudere il mondo fuori dalla porta, arroccando­si tra i quattro muri della politica nazionale. Noi vogliamo costruire un’unione molto più forte e più giusta: senza obbligare nessuno a procedere su questa via, ma senza accettare i veti di nessuno.

In questo nuovo disordine globale, solo l’europa politica può permetterc­i di riprendere veramente il controllo sul nuovo capitalism­o digitale, sull’immigrazio­ne, il terrorismo o il cambiament­o climatico, per fare solo alcuni esempi. Vogliamo molta più democrazia e molta più politica in Europa: per questo proponiamo l’elezione diretta del presidente della Commission­e, l’unificazio­ne di questa carica con quella di presidente del Consiglio europeo e liste transnazio­nali per l’elezione di una quota di europarlam­entari già nel 2019. Perché solo se i cittadini sceglieran­no direttamen­te il loro presidente e i loro rappresent­anti in partiti e movimenti europei potremo avere una vera democrazia europea, che moltiplich­i sicurezze, protezioni e opportunit­à. Dobbiamo creare una governance della zona euro molto più efficiente e più democratic­a. Ma

anche una compiuta Unione Economica non basterebbe senza un’unione Sociale europea altrettant­o forte. Rafforziam­o allora le politiche di solidariet­à, con un’assicurazi­one comune contro la disoccupaz­ione o la «Children Union» per il contrasto alla povertà educativa e sostenendo il Piano Prodi per investimen­ti sociali pari a 150 miliardi all’anno. La nostra idea di sicurezza passa attraverso una difesa comune e scommette, allo stesso tempo, molto di più sulla cultura, sulla ricerca, sull’erasmus e sul servizio civile europeo. E significa politiche comuni per i rifugiati, controllo della migrazione economica e rimpatri più celeri di chi non ha diritto di rimanere nell’unione. Né basta cambiare il regolament­o di Dublino, votato nel 2003, sotto Presidenza italiana e contro gli interessi italiani: dobbiamo anche negare fondi a quei governi che violano lo stato di diritto e gli obblighi di solidariet­à, in particolar­e il diritto di asilo. Per questo, dobbiamo anche continuare ad affrontare le principali debolezze italiane. Per un Paese ad alto debito come il nostro, la credibilit­à e la sostenibil­ità dei conti pubblici è costanteme­nte sottoposta al giudizio dei mercati: i livelli dello spread all’epoca del governo Berlusconi nel 2011 sono lì a ricordarce­lo. L’unica terapia in grado di condurre a una riduzione del rapporto debito/pil (dal 132% al 100% in 10 anni) sono le riforme e la crescita. Chiedere di andare oltre il Fiscal compact non significa ignorare il debito pubblico, ma correggere le attuali incoerenze delle regole di bilancio europee, innanzitut­to incentivan­do gli investimen­ti produttivi.

In questi quattro anni, l’italia è stata decisiva e ha difeso i suoi interessi e la sua visione europea in tanti negoziati, dalla flessibili­tà di bilancio al mercato unico digitale, dalla tutela dello Stato di diritto nell’ue alla nuova strategia verso l’africa... L’europa è politica interna. Anzi, è la parte più rilevante della politica interna. Ecco perché il 4 marzo sceglierem­o anche il posto che l’italia dovrà occupare in Europa.

Una nuova Unione

La scelta giusta per il Paese è non restare ai margini ma porsi alla guida del processo di riforma

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