HOLLYWOOD PARTY, PRENDE FORMA IL PARTITO DELLE STAR
Rompendo il riserbo rispettato finora, George Clooney racconta in tv la decisione sua e della moglie, Amal, di «adottare» un ragazzo della martoriata comunità degli yazidi, un popolo perseguitato e massacrato dai terroristi dell’isis. Un gesto umanitario l’accoglienza del rifugiato Hazim Avdal. Ma anche la risposta dell’attore-icona della sinistra Usa a un presidente che di profughi non vuole più sentir parlare. L’espressione Hollywood party un tempo evocava solo feste sontuose a bordo piscina nel tepore di Los Angeles. Ma ormai in tanti pensano che quello del cinema sia diventato un partito non solo ostile a Donald Trump, ma impegnato su tutti i fronti caldi della politica americana: dalle molestie alle donne all’immigrazione passando per la discriminazione razziale. Non ci sono solo le dure critiche delle star del cinema negli show in tv: dalla denuncia del caso Weinstein con la valanga che ha generato nel mondo dello spettacolo al movimento @metoo (alimentato inizialmente soprattutto da attrici, a partire da Alyssa Milano, per poi coinvolgere le celebrity come Uma Thurman e Gwyneth Paltrow), Hollywood prima è stata sconvolta al suo interno, ma poi ha cavalcato un fenomeno che sta cambiando la società americana. Mentre gli Oscar (nel 2017 ma, a giudicare dalle nomination, anche quest’anno) puntano sulla denuncia del razzismo, i Golden Globes, un mese fa, sono stati il festival della rivolta contro Trump: dal conduttore, Seth Meyers, che lo ha accusato di xenofobia, all’intenso discorso di Oprah Winfrey che molti hanno interpretato come un’autocandidatura alla Casa Bianca. Apolitica fino al 1930 (con l’eccezione Chaplin), Hollywood da allora pende a sinistra: effetto della Grande Depressione, del fascismo antisemita, del maccartismo (anni ’50), dei diritti civili (’60), del Vietnam (’70). Ora molto di più. E potrebbe incidere molto sulla politica. Parola di Bannon, ex stratega di Trump: «Metoo peserà sulle elezioni più dei Tea Party».