Camicie rosse e Dante, l’immaginario dell’italia che non c’è più
Una raccolta di Fulvio Conti, edita da Pacini, indaga sulla percezione e sulla diffusione dei valori tra Risorgimento e Novecento
Nello scorso novembre il centocinquantesimo anniversario della battaglia di Mentana è passato inosservato. E non si deve pensare che questo sia dovuto all’esito infelice dello scontro, che nel 1867 vide i volontari garibaldini cedere alle forze soverchianti dell’esercito pontificio e del corpo di spedizione francese inviato a soccorrere Pio IX.
Dato che tre anni dopo ci fu la breccia di Porta Pia con l’annessione di Roma all’italia, che era poi l’obiettivo della precedente sfortunata campagna di Giuseppe Garibaldi, la sconfitta venne presto ricordata come la premessa del compimento dell’unità nazionale. E caddero i motivi di contesa tra l’italia governativa liberale e i combattenti irregolari in camicia rossa che avevano contrassegnato gli eventi del 1867.
A Milano nel 1882 piazza Santa Marta venne intitolata alla battaglia di Mentana (tuttora si chiama così) e simili toponimi si trovano in molti altri centri. Come ricorda Fulvio Conti in uno dei saggi contenuti nel suo volume Italia immaginata. Sentimenti, memorie e politica fra Otto e Novecento (Pacini editore), era piuttosto la memoria di un’altra vicenda garibaldina, lo scontro dell’aspromonte, a essere imbarazzante per l’italia postrisorgimentale, poiché nel 1862 a bloccare le camicie rosse, sia pure con un ridotto spargimento di sangue, erano stati i militari dello Stato sabaudo.
Detto questo, non è difficile capire perché Mentana oggi interessi poco. Oltre a richiamare un anticlericalismo ormai passato di moda (tanto più dopo l’elezione di Papa Francesco), i fatti d’arme dell’agro Romano rientrano fra le glorie della tradizione patriottica di sinistra, poi confluita nell’interventismo democratico in occasione della Grande guerra, che ormai è rimasta senza eredi.
Lo stesso vale d’altronde per gran parte degli argomenti approfonditi da Conti con indubbio rigore filologico. La passione tricolore, il culto dei martiri risorgimentali, il richiamo a Dante come profeta dell’identità italiana sono piuttosto lontani dall’immaginario collettivo dei nostri giorni.
Sarà che nel mondo globale l’italia come Paese — ben rappresentata dalla moda e dalla cucina — vale molto più che come Stato, ma certo rimane l’impressione che rispetto al periodo indagato da Conti — tra la metà dell’ottocento e l’inizio del Novecento — qualcosa di non trascurabile sia andato perduto.