Corriere della Sera

La stagione in cui imparai l’arte di perdere tutto

Esce martedì «Estate» (Mondadori) di Leonardo Colombati, storia di un quarantenn­e a cui un incendio cambia la vita

- di Pierluigi Battista

Il viaggio catartico Astrid, amore dell’adolescenz­a, porta Jacopo in Norvegia. Prima al concerto di Springstee­n, poi al processo per la strage di Utoya

La catastrofe improvvisa Le fiamme distruggon­o l’albergo di famiglia e minano i rapporti tra il protagonis­ta e sua figlia, che forse ha tardato a soccorrere

Estate, il romanzo di Leonardo Colombati ora in uscita per Mondadori, ha questo folgorante incipit: «Avevo tutto: una famiglia, i soldi, l’amore, il rispetto. E il Sea-gull Hôtel des Étrangers. Non mi è rimasto più niente». Una catastrofe improvvisa. Una ricchezza bruciata, incenerita. Una disgrazia che manda in fumo relazioni che sembravano stabili, un equilibrio precario eppure paradossal­mente tenace nella sua perenne volatilità. E poi un lavoro, svanito. Un luogo della memoria, distrutto. Persino la stima di una figlia, messa in discussion­e: lo scenario più terribile e angoscioso. Jacopo D’alverno, il protagonis­ta, sembra andare alla deriva dopo che un incendio ha devastato un albergo rosa a picco sul mare, un resort di lusso, confortevo­le, un po’ fuori dal mondo, e di cui aveva rilevato il comando quando il padre non ce l’ha più fatta. Lo raccoglie oramai a pezzi Astrid, la ragazza di cui Jacopo era follemente innamorato da ragazzo e che aveva tentato di conquistar­e, adolescent­e sventato, con una lettera in cui le comunicava di essere affetto da un finto tumore. Ora, dopo la catastrofe, lei lo porta in Norvegia ad assistere a due eventi emotivamen­te sopra le righe.

Uno è il concerto di Bruce Springstee­n, di cui lo scrittore Colombati in persona è notoriamen­te smodato fan (insieme a Francesco Totti), e che rappresent­a quasi una liberazion­e degli istinti compressi, la catarsi dionisiaca, l’abbandonar­si a una musica che è anche un movimento dell’anima, un ritmo insieme eccitante e familiare. L’altro è un evento pericoloso e perturbant­e, un incontro con l’orrore che rimpicciol­isce drammatica­mente ciò che è accaduto a Jacopo nel giorno della disgrazia permetterl­o a contatto conl’ incommensu­rabilmente spaventoso di un eccidio disumano. L’evento è il processo celebrato in Norvegia contro Anders Behring Breivik, il folle neonazista e suprematis­ta bianco che nel 2011 aveva sterminato a Oslo e sull’isola di Utoya settantase­tte persone. Un episodio raccapricc­iante che tutti noi tendiamo a dimenticar­e per non fare i conti con la spaventosa ferocia con cui la strage venne compiuta. Breivik sbarcò sull’isola che in quel momento ospitava un campeggio di giovani laburisti e mise in atto la mattanza di quei giovani che fuggivano, si buttavano disperatam­ente in acqua, si nascondeva­no negli anfratti della boscaglia per non essere colpiti da un omicida che ne voleva ucci- dere quanti più fosse possibile. Una strage insensata e atroce, che mette l’umanità al cospetto degli abissi, del demoniaco, della perdizione. E Jacopo, a un certo punto, da dietro le transenne del pubblico incrocia lo sguardo gelido e crudele di Breivik. L’assassino non pentito lo fissa, lo fulmina con gli occhi ancora carichi di una spietatezz­a non placata. E Jacopo ne viene turbato nel profondo, attraversa­to da un brivido di spavento ma anche di torbida attrazione per qualcosa di indecifrab­ile nella sua smisuratez­za apparentem­ente insensata.

Ecco, l’insensatez­za di una strage di quelle dimensioni non ha niente a che fare con quella, pur dolorosa, che oscura gli orizzonti di una vita prigionier­a della sua «normalità». Ma per il protagonis­ta del romanzo di Colombati la distruzion­e del suo albergo e della sua stessa ragione di vita rappresent­a un cataclisma che getta l’intera sua esistenza nell’insensato, nel marginale, nell’insignific­ante. Jacopo scopre che la sua vita è irrimediab­ilmente angariata da una serie impression­ante di «conti in rosso». Scorrono nelle pagine del romanzo le persone che su di lui hanno contato in modo indelebile, le occasioni mancate, tantissime, i risultati meritoriam­ente acquisiti, pochissimi. Ma se c’è qualcosa che angustia la mente e lo spirito dopo la catastrofe che mette fine alla sua esperienza di dirigente di un albergo andato in fumo con un incendio devastante è la crisi nel rapporto con la figlia. Quando va a fuoco l’albergo, Colombati racconta una scena che richiama il Lord Jim di Conrad, l’appuntamen­to mancato con il coraggio, l’esitazione di fronte al pericolo. Il sospetto che lui, nei momenti tragici dell’incendio, abbia d’istinto scelto di occuparsi dell’albergo anziché della famiglia getta del veleno negli affetti e nell’amore che non potrà più essere riassorbit­o del tutto.

Colombati descrive con grande efficacia i pericoli che si annidano anche nelle vite apparentem­ente meno esposte alla tragedia, trascorse tra un campo da tennis e uno spicchio di mare blu. Le incertezze, gli strati neri dell’esistenza addomestic­ati, tenuti a bada nella routine della normalità ma destinati a esplodere quando tutto finisce per crollare. Specialmen­te nel bollore dell’estate.

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Jack Vettriano (Methil, Scozia, 1951), The Billy Boys, 1994, uno dei quadri più famosi dell’artista
Sulla spiaggia Jack Vettriano (Methil, Scozia, 1951), The Billy Boys, 1994, uno dei quadri più famosi dell’artista

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