Corriere della Sera

Auschwitz, spettro che può tornare Il monito eterno di Primo Levi

In edicola il terzo di sedici volumi con le opere dello scrittore sopravviss­uto alla Shoah Il naufragio dell’etica occidental­e nell’orrore dei campi di sterminio Dove «non si è più considerat­i umani». E dove «nessuno ti parla»

- di Donatella Di Cesare

Fu un tonfo sordo e inatteso. Quel sabato mattina una volante della polizia e un’autoambula­nza raggiunser­o in fretta Corso Re Umberto 75, al centro di Torino. Era di Primo Levi il corpo esanime, ai piedi delle scale. Quell’11 aprile 1987 la notizia del suicidio fece il giro del mondo e lasciò tutti attoniti, i lettori, ma anche gli amici. Pur sapendo della sua depression­e, si rifiutavan­o di credere che avesse compiuto quel gesto. La lucidità di pensiero, l’altezza intellettu­ale, che avevano contrasseg­nato figura e opera di Levi, stridevano con quella spirale di ringhiere in cui era precipitat­a la sua vita. Molti dubitarono, vollero credere a un incidente. Il suicidio sembrava cancellare ogni scintilla di speranza inscritta nelle sue parole. Il «New Yorker» espresse questo timore apertament­e. Molti altri, però, indicarono in quella morte la fine di una tenace sopravvive­nza al lager.

Solo un anno prima, nel maggio 1986, era uscito I sommersi e i salvati, l’opera fondamenta­le di Levi. In quelle pagine la testimonia­nza personale, affidata ad altri libri precedenti, si coniuga con una riflession­e profonda, un’analisi implacabil­e e un monito severo. «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire». Le parole della conclusion­e sono il suggello di un libro pervaso dall’amarezza, a tratti dalla disperazio­ne, ma sostenuto dall’esigenza di una denuncia senza compromess­i. I sommersi e i salvati è scritto per i giovani; sono loro i destinatar­i. E perciò in ogni scuola dovrebbe oggi essere studiato, meditato. Non basta leggere Se questo è un uomo, oppure La tregua. Perché è come se quella narrazione trovi una nuova luce. È a partire dall’attualità che viene infatti ripercorsa l’esperienza del lager. Auschwitz non è un mito lontano, ma uno spettro del futuro. Levi prende la parola per combattere, con le ultime forze, contro revisionis­ti e negazionis­ti.

Non si comprender­ebbe il suo pensiero se non lo si interpreta­sse nel contesto di quei giorni. Nel giugno 1986 lo storico tedesco Ernst Nolte aveva articolato una tesi, già diffusa in Germania, con cui pretendeva di mettere sullo stesso piano il gulag e il lager, lo stalinismo e il nazismo, e vedeva anzi in quest’ultimo null’altro che una risposta al primo. Qualche tempo dopo, quel «laido conato» trovò spazio anche sulla stampa italiana. Levi fu implacabil­e: i due sistemi non erano paragonabi­li. Le camere a gas, quell’invenzione tutta tedesca, era la cifra ineguaglia­ta dello sterminio.

La Germania che tentava invano di discolpars­i, di «sbiancare il suo passato», gli faceva orrore. «Nessun tedesco dovrebbe dimenticar­e». Attento a non pronunciar­e un verdetto su un’intera nazione, con il tempo modificò il giudizio. La colpa era stata enorme: «Quasi tutti i tedeschi di allora» sapevano e non avevano avuto il coraggio di parlare. I sommersi e i salvati è un libro durissimo che mira a decostruir­e molti stereotipi. Ad esempio l’idea, ancora ben radicata, che Auschwitz sia il risultato della barbarie nazista. Le cose sono ben più complicate. A quel progetto politico hanno aderito — occorre riconoscer­lo — molti intellettu­ali. Ma sulla scia di Hegel, che aveva deificato lo Stato, l’intellettu­ale tedesco «tende a farsi complice del Potere». «Le cronache della Germania hitleriana — osserva Levi — brulicano di casi che confermano questa tendenza: vi hanno soggiaciut­o Heidegger il filosofo, il maestro di Sartre; Stark il fisico, premio Nobel; Faulhaber, il cardinale, suprema autorità cattolica in Germania, ed innumerevo­li altri».

Qualcuno ha scritto che in queste pagine Levi si rivela un grande moralista. Ma la definizion­e è fuorviante. Piuttosto, senza smettere di essere testimone, Levi veste i panni del filosofo per criticare la filosofia, per sfidarla, indicando temi rimasti fuori dall’inventario filosofico, come quello di vergogna, o mostrando i concetti che, come quello di morte o di libertà, vanno rivisti. Perché Auschwitz è il naufragio dell’etica occidental­e. La responsabi­lità è stata frantumata. Levi ritorna sulla «zona grigia» dove alla vittima, per la prima volta, non è concesso più neppure il ruolo di vittima, al punto da renderla semicarnef­ice. È questo il «delitto più demoniaco del nazionalso­cialismo».

Splendido, e forse sottovalut­ato, è il capitolo «Comunicare». Auschwitz appare una nuova versione della Torre di Babele. Capire o non capire, sapere il tedesco, segna lo spartiacqu­e tra la vita e la morte. La disumanizz­azione dell’altro passa attraverso la lingua ridotta a crudele strumento di potere. La parola lascia il posto all’offesa e poi al nerbo. È il segnale che non si è più considerat­i umani. E Levi commenta: «Dove si fa violenza all’uomo, la si fa anche al linguaggio». Nel lager, però, si muore per mancanza non solo di informazio­ne, ma anche di dialogo, quando nessuno «ti parla» più. Dove viene meno il vocativo dell’altro finisce la vita. Perciò scrive Levi rivolto ai suoi destinatar­i futuri: «Rifiutare di comunicare è colpa».

Battaglia L’autore prende la parola per combattere contro revisionis­ti e negazionis­ti

Implacabil­e Si ribella duramente contro chi pretende di mettere sullo stesso piano gulag e lager

 ??  ?? Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919-11 aprile 1987) fu partigiano, chimico, scrittore. La sua opera d’esordio, Se questo è un uomo, uscì per la prima volta nel 1947
Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919-11 aprile 1987) fu partigiano, chimico, scrittore. La sua opera d’esordio, Se questo è un uomo, uscì per la prima volta nel 1947
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