Sally e il mostro, sogno da Oscar «Credo nella forza delle favole»
L’attrice di «La forma dell’acqua»: fuori dal set cerco solo l’invisibilità
come migliore attrice non protagonista, in Blue Jasmine di Woody Allen, interpretando la sorella dell’ipnotica Cate Blanchett. Il fatto è che lei è sempre l’«altra», toh, c’è anche lei nel cast. Cresciuta a Dulwich, un sobborgo di Londra, è figlia di due noti autori e illustratori di libri per bambini, «disegnavano tutto il tempo e vivere in mezzo a tutto questo è stata una spinta creativa incredibile. La filosofia di vita dei miei genitori era: fai qualunque cosa ti renda felice». Il padre interpretava anche i personaggi che andava disegnando. Quest’idea di adolescenza idilliaca è vera fino in parte, Sally ha sofferto di dislessia, argomento del quale lei è riluttante a parlare, «se non altro per i cliché che si porta dietro. Ci sono così tanti attori dislessici, quello che posso dire è che saltare un rigo o letture a prima vista è terribile».
A 22 anni ebbe una particina in Star Wars: Episodio I La minaccia fantasma, del ‘99, cameo così piccolo da non apparire nei crediti. La La trama
«La forma dell’acqua» ha ottenuto 13 nomination agli Oscar, tra cui miglior film, regia, attrice protagonista (Sally Hawkins, nella foto sopra in una scena) e non protagonista (Octavia Spencer)
In sala dal 14 febbraio, il film è ambientato negli Stati Uniti del 1963 e racconta la storia d’amore tra una donna e una creatura mostruosa sua vera formazione è teatrale, ha recitato in diverse produzioni shakespeariane ed è in scena che viene notata da Mike Leigh, destinato a diventare il suo mentore avendola chiamata in tre suoi film (Happy-go Lucky le diede un Golden Globe e un Orso alla Berlinale).
Dice che in scena è «un fascio di nervi» e fuori scena il suo massimo desiderio è quello «di non essere vista, sì, di essere dimenticata. Sono minuta di statura e perciò mi considero fortunata, posso nascondermi in un grande cappotto, poi ho tanti capelli che uso come un elmetto». L’attrice invisibile dice che un buon lavoro al cinema è quando «prendi rischi e ti spingi oltre i tuoi limiti».
Certo se i capelli sono l’elmetto, la fantasia è la corazza
Il cappotto
«Sono minuta e mi ritengo fortunata, mi basta un cappotto per nascondermi»
con cui ha vinto la sua battaglia più difficile: perdere la testa per un mostro marino. Anche lei, come il regista, ha un’immaginazione che segue strani percorsi. Nel film è «come una bambina innocente, è pura, ingenua, istintiva. Un’orfana di cui non conosciamo le origini, che non parla, ma ha in sé un’energia generata dall’amore che le strapperà l’anima se non riuscirà a salvare la sua creatura marina. Guillermo ha raccontato la più bella favola di tutti i tempi. Accoglie totalmente l’amore, ci invita a aprirci alla diversità. E’ la storia di coloro che vengono facilmente dimenticati, abbandonati, trascurati; di coloro che non vengono capiti né ascoltati».