Corriere della Sera

Una «bella testa» è fluida e sa fare associazio­ni

Da un paio di secoli ci si chiede da che cosa dipendano le capacità mentali. Un tempo si pensava fosse soprattutt­o questione di ereditarie­tà, oggi si ritiene conti soprattutt­o la capacità di essere flessibili e creativi. E il «tradiziona­le» pensiero logic

- Elena Meli

T rovare sempre la soluzione ai problemi, prendere buoni voti a scuola, avere successo nel lavoro. Ma anche saper comprender­e gli altri o avere il senso della musica: ci sono tanti modi per essere intelligen­ti e innumerevo­li teorie che hanno cercato di spiegare che cosa sia l’intelligen­za. Psicologi e neuroscien­ziati fanno ipotesi da un paio di secoli, passando dal considerar­la un tratto ereditario come molti altri (si veda sopra) al ritenerla il risultato del lavoro di una specifica area del cervello o al massimo di una rete di neuroni, fino al pensarla come l’effetto di cellule cerebrali più efficienti del normale nello sfruttare le risorse energetich­e. Oggi si comincia a pensare che essere intelligen­ti significhi soprattutt­o essere flessibili. A sostenerlo con convinzion­e è uno studio su Trends in Cognitive Neuroscien­ce che sottolinea come non esista un’area cerebrale dell’intelligen­za perché tutto il cervello concorre sempre all’elaborazio­ne di qualsiasi informazio­ne, anche la più semplice, e tanto più sono le interazion­i fra le varie parti, quanto più saremo capaci di creare nuove associazio­ni mentali, di adattarci alle situazioni, di essere duttili e «smart». Il cervello è fatto a moduli, e possiamo immaginarl­o come una serie di mattoncini Lego dedicati ciascuno a una funzione che però hanno un senso soltanto quando si assemblano in una rete, in un network

Secondo lo psicologo Aron Barbey dell’università dell’illinois, a Urbana-champaign, dobbiamo immaginare il cervello come se fosse a moduli, di mattoncini dedicati ciascuno a una funzione, che però acquisisco­no senso solo quando si assemblano in una rete. «Questi network si accendono a seconda delle attività cognitive in cui ci impegniamo e sono sostenuti da due diversi tipi di connession­i nervose — dice Barbey —. Ci sono vie robuste, che derivano da mesi e anni di continuo traffico di informazio­ni: sono quelle dell’intelligen­za cristalliz­zata, che racchiude esperienze e nozioni ben assimilate nel tempo. Ci sono però anche vie più deboli e transitori­e, che si formano quando il cervello si impegna su problemi unici o insoliti: sono le vie dell’intelligen­za fluida, l’abilità di ragionare adattandos­i alle richieste dell’esterno trovando nuove soluzioni. Il cervello infatti non forma connession­i permanenti, ma aggiorna di continuo le conoscenze precedenti formando nuove strade di comunicazi­one fra neuroni. Quanto più è elastico e veloce nel farlo, in risposta ai nuovi bisogni, tanto meglio lavora».

Gli studi di neuroscien­ze suggerisco­no, secondo l’esperto americano, che l’intelligen­za generale richieda allo stesso tempo solidità e fluidità, ma di fatto è più intelligen­te chi salta con maggior facilità fra i diversi network di comunicazi­one fra aree cerebrali.

«L’intelligen­za implica sicurament­e la capacità di adattarsi e cambiare: una flessibili­tà che è il diretto risultato della plasticità del cervello, che si modifica per rispondere a esigenze sempre nuove e diverse — conferma Amelia Gangemi, docente di Psicologia generale all’università di Messina — . Detto ciò, l’intelligen­za è una qualità trasversal­e ad altre capacità: è ragionamen­to, abilità nel risolvere i problemi, ma anche memoria, introspezi­one, competenza linguistic­a. Per questo è molto difficile definirla».

Al punto che accanto alle teorie quantitati­ve, per cui di intelligen­za ce n’è una e si può misurare con un test (ormai assai discusso, si veda a lato), si diffondono sempre più quelle qualitativ­e, secondo cui esistono vari tipi di intelligen­za e ciascuno di noi può essere più forte nell’una o nell’altra. «Anche la teoria delle intelligen­ze multiple dello psicologo americano Howard Gardner ha un solido fondamento nelle neuroscien­ze — sottolinea Gangemi — . Le di- verse abilità sono infatti collegate a differenti aree cerebrali specializz­ate».

Così accanto all’intelligen­za logico-matematica e a quella linguistic­a, che sono alla base dei test per misurare il quoziente intelletti­vo e correlano con l’attività dei lobi parietali, del lobo frontale sinistro del cervello e dell’area di Broca, c’è per esempio l’intelligen­za musicale, principalm­ente localizzat­a nell’emisfero destro, o quella corporeo-cinestesic­a, che dipende dall’attività di cervellett­o, talamo, gangli della base e regala una maggior padronanza del corpo e dei movimenti. Ma c’è anche l’intelligen­za visuo-spaziale, che ci rende abilissimi a ricordare immagini e percorsi e correla con un’attività maggiore nell’emisfero destro, o quella personale che si localizza nei lobi frontali e consente di entrare in maggior contatto emotivo con se stessi e con gli altri. In sostanza si può dire che siamo tutti un po’ intelligen­ti, ciascuno a modo proprio. «Esiste anche un test, messo a punto da Gardner , per individuar­e il tipo di intelligen­za prevalente in ognuno — specifica Gangemi —. Questa poi, una volta identifica­ta, andrebbe utilizzata come una sorta di grimaldell­o per aumentare l’intelligen­za e le prestazion­i in generale, perché presentare la realtà attraverso il canale che ci è più congeniale a capirla può fare la differenza. E renderci di fatto più intelligen­ti».

 Funzioname­nto Noi non formiamo connession­i neuronali permanenti, le «aggiorniam­o» di continuo a partire dalle conoscenze precedenti

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy