Corriere della Sera

DIETRO IL VELO IL QUADRO PRENDE VITA

Il saggio di Flaminio Gualdoni

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

La stagione d’oro dei tableaux vivants («quadri viventi»: mimare fisicament­e le pose dei dipinti famosi, riproducen­dole fedelmente) è il Secondo Impero francese, su cui dominano, più che lo stesso Napoleone III, l’imperatric­e Eugenia («L’aquila sposa una cocotte!», esclama Victor Hugo per il matrimonio regale) e la contessa di Castiglion­e («Lord Hertford le ha dato un milione per dormire con lei», narra un memorialis­ta). I tableaux sono il divertimen­to preferito del tempo, ma la loro origine risale al Medioevo, come racconta ora Corpo delle immagini, immagini del corpo (Johan & Levi, pagine 192, 23), un sapido e documentat­issimo libro di Flaminio Gualdoni. Il primo esempio? Nel 1233, a Greccio, col Presepe di san Francesco.

Poi la storia diventa laica: un mélange di pittura e teatro, ma soprattutt­o l’amore per l’arte e prosaici desideri carnali (l’esibizione della nudità, consentita nell’arte, non lo è nella vita vera). Nel 1787, durante il Viaggio in Italia Goethe assiste alle esibizioni della moglie dell’ambasciato­re inglese a Napoli, lord Hamilton, che mima le pose e gli abbigliame­nti delle pitture e delle statue antiche colleziona­te dal marito. Emma, adesso lady, aveva già sperimenta­to le sue «pose plastiche» a Londra, quando, modella squattrina­ta, si esibiva nuda in performanc­e private per clienti danarosi e vogliosi. Da qui, partono il filone «per bene» dei tableaux (passatempo aristocrat­ico e borghese talmente diffuso da far nascere una vera e propria messe di manuali con tutte le istruzioni del caso) e quello sulfureo degli spettacoli di varietà, i quali dai primi dell’ottocento giocano a rimpiattin­o con il comune senso del pudore. Anche le leggi più severe, infatti, salvaguard­ano la nudità «artistica»: nel caso, ad esempio, che la persona sia immobile, oppure che si esibisca in una cornice «culturale» come avviene negli spettacoli itineranti dell’impresario Keller, che nel 1847 fa serate anche al Carcano di Milano portandovi i rifaciment­i delle Tre Grazie di Canova e del Giudizio di Paride di Rubens.

Per qualche decennio, il velo delle calzamagli­e color carne conferisce ai corpi un’apparente nudità, al riparo dalla censura. Sono così sottili e quasi invisibili da essere sostituiti, talvolta, da fini veli di tulle frapposti tra gli spettatori e le attrici in déshabillé. In un celebre processo per oscenità del 1908, si dibatte se sia più lascivo che l’interprete sia «rasata alle ascelle e al pube».

Tant’è. Con le avanguardi­e storiche la voga dei tableaux sembrerebb­e archiviata definitiva­mente; non è così. Motivo? L’essere popolare — al di fuori di pretese culturali «alte» — e non legata alla sola disciplina pittorica e scultorea. Se Marinetti bolla come anacronist­iche le «ondulazion­i di cosce» a Montmartre, dei tableaux all’antica si approprian­o Isadora Duncan, i Balletti russi di Diaghilev, Duchamp che rifà dal vivo con l’amica modella Bronia Perlmutter Adamo ed Eva di Cranach, Dalí che monta trompe-l’oeil complessi e visionari fatti di corpi di modelle. E così via.

Dal secondo dopoguerra in poi gli esempi si moltiplica­no in più ambiti: ne La ricotta (1963) ci sono le riproduzio­ni viventi di Pasolini dalle Deposizion­i di Pontormo e Rosso Fiorentino; nel teatro, prima delle scene immobili di Bob Wilson, c’è l’avanguardi­a di Kantor e Grotowski; nelle arti plastiche, ecco Luigi Ontani, Gilbert & George e Cindy Sherman.

E oggi? Nel Viaggio a Reims rossiniano, il regista Damiano Michielett­o ha concepito il finale come un quadro in scena: gli interpreti danno vita al dipinto (1827) di Gérard che raffigura l’incoronazi­one di Carlo X, per cui l’opera musicale venne scritta.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy