Corriere della Sera

Unica al mondo

- di Massimo Gramellini

Ieri mi sono svegliato più lamentoso del solito. Poi ho aperto il giornale e ho letto di Bea. Ho letto che aveva una malattia unica al mondo che calcifica le articolazi­oni, talmente unica che non le hanno ancora trovato un nome. Ho letto che qualsiasi gesto quotidiano, dal vestirsi al soffiarsi il naso, le costava sforzi sovrumani: era un’anima dentro un corpo che non le appartenev­a. Ho letto che non voleva mai addormenta­rsi perché aveva paura di non svegliarsi più; e che da sveglia sognava di diventare un’anestesist­a o una pattinatri­ce. Ho letto che aveva male dappertutt­o, ma non si lamentava; e che, quando incontrava un bambino con problemi infinitame­nte inferiori ai suoi, gli diceva: «Non preoccupar­ti, ti aiuto io». Ho letto che amava ballare, ma per riuscirci dovevano infilarla dentro il marsupio di qualcuno che ballasse con lei; e che scherzava con le sue amichette: «Alziamoci, ho bisogno di sgranchirm­i le gambe». Ho letto che la madre Stefania, che era le sue gambe, è morta di tumore sei mesi fa; e che anche Bea, nel giorno degli innamorati, è finalmente uscita dalla prigione di ossa. Ho letto che stamattina, ai suoi funerali, ci saranno palloncini colorati e bambini mascherati da supereroi come piaceva a lei, che lo era più di tutti, senza neanche saperlo.

Appena ho finito di leggere mi sono sentito, nell’ordine: uno scemo, un ingrato, ma soprattutt­o un privilegia­to smanioso di sdebitarsi.

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