Corriere della Sera

Quegli italiani in Kosovo. E un Paese che possiamo aiutare

Militari, imprendito­ri, cooperanti: sono tanti (e molto amati) nello Stato che celebra i suoi primi dieci anni

- Di Paola Severini Melograni Marta Serafini

Un giorno andremo a sciare in Kosovo, o per il week end al monastero di Decani, la loro Cappella Sistina. Saranno gli italiani ad aiutare lo Stato balcanico a lanciarsi nel turismo globale, perché siamo il popolo che più amano. L’unione europea, nonostante la questione dell’allargamen­to sia ancora controvers­a, ha già dato speranze concrete a Serbia e Montenegro che nel 2025 saranno «dentro». Subito dopo c’è il giovane Stato che oggi compie 10 anni. Il Kosovo si sta impegnando per dimostrare di percorrere la strada dei diritti e che la sua attuale maturità politica non ha nulla da invidiare ai confinanti.

È indubbio che il Paese goda di una cattiva fama, ma la battaglia per cambiare l’immagine è appena cominciata. Il futuro è scritto nella bandiera dove sei stelle corrispond­ono a sei comunità etniche: albanesi, serbi, turchi, Le tappe

● Oggi cadono i dieci anni dalla proclamazi­one di indipenden­za

● La Serbia non riconosce il Paese, che fino al 1999 è stato una sua provincia

● Il Kosovo ha consolidat­o la sua struttura statale con un programma di riforme e ha stretto un accordo di stabilizza­zione e associazio­ne con l’unione Europea rom, bosniaci, gorani: i rom hanno due deputati e un ministro.

Gli italiani aiutano il Kosovo a costruire un’operazione di perdono collettivo, a ragionare sull’istituzion­e di un tribunale per i crimini di tutte le fazioni, grazie al lavoro straordina­rio del nostro esercito, la cui presenza data dalla fine della guerra permettend­o la salvaguard­ia di persone e monumenti. Il 14 febbraio il generale Danilo Errico, capo di Stato maggiore dell’esercito, ha ricevuto perciò la più alta decorazion­e del Paese. Nella base Nato della Kfor, Salvatore Cuoci governa 4600 soldati di 31 nazioni(la direzione della forza militare internazio­nale è italiana da 5 anni), l’imprinting di Cuoci, generale di un esercito di pace, appassiona­to assertore della strada della mediazione sociale, è sostenuto pure dal lavoro dei carabinier­i che lavorano a fianco delle forze di sicurezza locali (il Kosovo non può ancora avere un esercito essendo sotto tutoraggio dell’onu), c’è il KSF, equivalent­e della nostra Protezione civile.

Goran Bregovic, «voce» famosa, dice che l’affetto per gli italiani data addirittur­a dalla II guerra mondiale e che gli altri soldati(soprattutt­o tedeschi) non sono amati nonostante gli sforzi economici della Merkel(che ha appena elargito altri 13 milioni di euro). Si ricordano ancora i collaboraz­ionisti delle SS e l’ operazione «Punizione» che sterminò nei Balcani occidental­i 1,8 milioni di persone,in gran parte Rom.

Il ministro degli Esteri e vicepremie­r, l’attivissim­o Behgjet Pacolli, imprendito­re dell’edilizia, si avvale di italiani per i restauri più importanti (il Cremlino e il teatro Fenice di Venezia, per dire) e crede fortemente in questa amicizia. È italiano il cooperator­e che sta fornendo il modello per il sistema di welfare nel Paese, Massimo Mazzali, che ha visto passare bambini «spezzati» di tutte le etnie e di tutte le religioni, e che forma i futuri responsabi­li del welfare locale attraverso l’esempio della casa-famiglia Cartoline

Un padre e un figlio nella piazza centrale di Pristina per l’anniversar­io della dichiarazi­one di indipenden­za (Foto Ap) a Leskoc; ci tiene a far sapere che da loro si parla italiano, perché i ragazzi, una volta cresciuti è da noi che vanno all’università.

Gli eredi di Rugova, indimentic­ato «Gandhi» dei Balcani, sono sempre stati contrappos­ti al partito del premier Hashim Thaçi; mentre lui diceva «vi ho portato gli Usa, e Rugova invece cosa vi ha portato? L’italia e la Comunità di Sant’egidio...» non poteva immaginare gli Usa con Trump al posto di Bill Clinton, e il futuro del Kosovo sostenuto dal nostro mondo della solidariet­à e dell’imprendito­ria. Capitani d’impresa provenient­i da tutte le regioni italiane intrecciat­i con gli imprendito­ri locali, parlano i nostri dialetti. La pizza napoletana laggiù non ha rivali; abbiamo assolto la funzione di Zajednicki Zivot, «vivere insieme», perché nessun popolo, come il nostro, è maestro di tolleranza anche se, a volte, è necessario andare nei Balcani occidental­i per ricordarlo.

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