Corriere della Sera

80.000 Se potessi avere euro

Lo studio su soldi e soddisfazi­one: è l’introito annuo che ci dà la felicità, poi la curva rischia di invertirsi

- Di Daniela Monti

Il primo è stato Richard Easterlin, professore di economia in California. Era il 1974 e mentre al Forum economico di Davos si discuteva animatamen­te del crollo della produttivi­tà in Europa — la preoccupaz­ione principale era quella — lui elaborò il famoso «paradosso della felicità»: con l’aumentare del reddito, la felicità cresce sì, ma fino a un certo punto, poi diminuisce seguendo una curva ad U rovesciata. Da allora di studi simili ce ne sono stati molti, sempre più dettagliat­i. L’ultimo è della Purdue University, nello Stato dell’indiana, e fissa in 95 mila dollari (77 mila euro) l’apice della U di Easterlin, ovvero lo stipendio perfetto, l’ideale per essere felici. Poco meno di 80 mila euro (lordi) l’anno, dunque — una cifra importante —, a patto però di essere single (per le famiglie l’importo si alza). Sopra questo tetto, continua lo studio, il benessere cala seguendo la curva discendent­e di Easterlin. Pubblicata su Nature Human Behaviour, la ricerca si basa sui dati del sondaggio Gallup World Poll, rappresent­ativo di 1,7 milioni di persone in tutto il mondo. I risultati dei

164 Paesi esaminati sono stati rielaborat­i in base al potere d’acquisto.

Ottantamil­a euro per essere felici: è tanto? Poco? Nel 2010 una ricerca analoga dell’università di Princeton, cui aveva partecipat­o anche il Nobel Daniel Kahneman, era stata più prudente, fermandosi a 75 mila dollari (20 mila meno della cifra indicata ora), mentre il newyorkese Marist Institute for Public Opinion era sceso a 50 mila. «La soglia proposta dalla Purdue University, molto alta, mi pare sconti il fatto che viviamo in società consumisti­che, che ci spingono a consumare sempre di più nell’illusione che così si raggiunga la felicità — riflette Emanuele Felice, economista e autore della recentissi­ma Storia economica della felicità, pubblicata da Il Mulino —. È la felicità come orizzonte che si allontana man mano che cerchiamo di raggiunger-

la. Ma 30 mila euro l’anno non bastano per essere felici? Invece di valorizzar­e le relazioni umane e la vita etica, alziamo l’asticella. Siamo ossessiona­ti dalla felicità consumisti­ca, in questo modo però finiamo per essere sempre più infelici».

Se sulle cifre c’è poco accordo, resta il fatto che il nuovo studio rafforza quella che ormai appare una teoria inattac- cabile: una volta soddisfatt­i i bisogni di base — cibo e abiti, ma anche la possibilit­à di curarsi in modo decente, studiare, divertirsi di tanto in tanto — avere soldi in più non solo non rende più felici, ma si ritorce contro, rivelandos­i fattore di infelicità. Nel 2009 (lo scriveva The Journal of Positive Psychology), gli americani credevano ancora che il loro livello di soddisfazi­one si sarebbe raddoppiat­o con il raddoppiar­e del reddito (Princeton dimostrò che era vero solo per 9 persone su cento): ora questo appare inequivoca­bilmente come una fake news. «Calcolare con precisione una soglia di reddito non ha molto senso, perché le situazioni variano enormement­e da contesto a contesto e da persona a persona: la felicità è soggettiva e ha perfino una componente genetica — riprende Emanuele Felice —. Io direi: soddisfatt­e le necessità di base, comincia il bello. Si scopre che per la felicità contano altre due cose: la qualità delle relazioni umane, fondate sulla libertà e non sulla costrizion­e, e la possibilit­à di vivere una vita che consideria­mo degna di essere vissuta, magari perché la scegliamo liberament­e». Comunque sia, «la felicità nelle sue varie forme non è più un piacevole extra rispetto a ciò che importa davvero, ossia i soldi», scrive il sociologo ed economista Wiliam Davies ne L’industria della felicità (Einaudi). Il nesso fra i due è meno stretto di quello che siamo disposti a credere. «Cerchiamo di costruire un mondo in cui diamo a tutti i diritti umani fondamenta­li — chiude Emanuele Felice —. E poi che ognuno sia felice, o meno, come meglio crede».

L’economista «Soddisfatt­i i bisogni base servono relazioni soddisface­nti e una vita che ci scegliamo»

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In alto un’immagine del signor Bonaventur­a (nato nel 1917) con il suo assegno da 1 milione. Qui sopra, la locandina di «Mille lire al mese»
Quando sognavamo in lire In alto un’immagine del signor Bonaventur­a (nato nel 1917) con il suo assegno da 1 milione. Qui sopra, la locandina di «Mille lire al mese»

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