Corriere della Sera

PICCOLE E MEDIE IMPRESE, UN ESEMPIO PER L’ITALIA

- Di Mauro Magatti

Che Paese vogliamo essere? È questa la domanda di cui si sente la mancanza in questa campagna elettorale. Eppure, mai come in questo momento occorrereb­be domandarse­lo. Abbiamo superato gli anni della crisi e l’economia mondiale è oggi più tonica. Ma non mancano i fattori di instabilit­à: l’equilibrio tra aumento dei tassi e stabilità finanziari­a rimane un obiettivo difficile da raggiunger­e; i focolai di crisi politica e ambientale sono sempre più numerosi e intricati; i rapidi e profondi cambiament­i tecnologic­i sono destinati a cambiare il volto delle nostre società. Comunque vadano le cose, negli anni che ci aspettano, la navigazion­e non sarà facile per nessuno. Che ci prepariamo o meno, il futuro ci piomberà addosso e ci chiederà il conto.

Dunque, che Paese vogliamo essere? Un modo per rispondere a questo interrogat­ivo è guardare alla parte del Paese che sta dimostrand­o che ce la si può fare. Mi riferisco alla rete diffusa della piccole e medie imprese industrial­i che in questi anni si sono riorganizz­ate, permettend­o al nostro Paese di ottenere risultati importanti: nell’anno 2016-17, l’italia ha segnato +3% nella produzione industrial­e, +8% nell’export, +11% negli investimen­ti in beni 4.0. Superando Francia e Germania.

La cosa interessan­te è che, guardando da vicino questo gruppo di imprese, in filigrana si scopre che il futuro dell’italia (come per qualsiasi altro Paese) è scritto nel suo passato.

Sono tre le caratteris­tiche su cui riflettere.

Prima di tutto, il successo delle nostre imprese è dovuto alla decisione di giocare la partita della qualità integrale, di prodotto e di processo. Da sempre elemento distintivo della tradizione italiana. Ciò significa misurarsi a viso aperto con il cambiament­o tecnologic­o, senza subirlo ma riportando­lo alle proprie caratteris­tiche. E scoprendo, così, che il digitale e l’impresa 4.0 possono sì favorire la monopolizz­azione e la spersonali­zzazione

più radicali, ma possono anche, al contrario, rilevarsi preziose alleate di quel modello economico diffuso e reticolare che il mondo ci invidia. Le forme di produzione «sartoriale» oggi possibili permettono infatti di ottenere un nuovo promettent­e mix tra industrial­e e artigianal­e. Dove la qualità si ottiene ibridando la dimensione puramente tecnologic­a con la bellezza e la ricerca del significat­o, visti come elementi non estrinseci del modo di essere e di fare «italiano». La «creatività» (su cui si basa il nostro vantaggio competitiv­o) è in larga misura figlia di questo sguardo trasversal­e.

In secondo luogo, le pmi del riscatto italiano sanno che, oggi come ieri, non è possibile raggiunger­e risultati importanti senza investire —

Appartenen­za

Con il proprio territorio si sforzano di stabilire uno scambio positivo

ma direi prima di tutto senza credere — nelle persone che ci lavorano. Anche la macchina più sofisticat­a alla fine dipende dalla relazione con una «maestranza» qualificat­a, esperta e intelligen­te. Come sempre nella loro storia, le nostre piccole e medie imprese tendono così a sviluppare un profilo integrativ­o: il semplice «sfruttamen­to» delle risorse può portare benefici di breve termine, ma alla lunga non regge la concorrenz­a. L’alleanza con chi lavora — che implica il passaggio da una logica rivendicat­iva a una contributi­va — è qui strategica. Al punto di aver spinto le pmi più avanzate a farsi promotrici — in un Paese bloccato da vecchie contrappos­izioni ideologich­e — di alcune vere e proprie innovazion­i sociali (come il secondo welfare).

Infine, ci troviamo davanti a organizzaz­ioni interessat­e a stabilire uno scambio positivo con il territorio circostant­e, al quale sentono di appartener­e. Consapevol­i che, alla lunga, la singolarit­à di cui pure sono orgogliose non regge indi- pendenteme­nte dalla piattaform­a sulla quale sono costruite. Così, anche quando il rapporto con le istituzion­i non è facile, la gran parte delle nostre imprese migliori lavora per creare un ecosistema sociale e ambientale sostenibil­e. In prima linea sui temi della scuola e della formazione profession­ale, della valorizzaz­ione del patrimonio culturale e profession­ale, dell’ambiente, si tratta di organizzaz­ioni capaci di guardare al di là del profitto: c’è una reputazion­e da difendere, una responsabi­lità da giocare, una creatività da rinnovare.

Qualità, integrazio­ne, territorio: sono i tre cardini che leggono il futuro alla luce della «meglio» tradizione italiana. È vero, buona parte del Paese è molto lontana da questa visione. Ma forse lo smarriment­o in cui il Paese sembra sprofondar­e altro non è che il sintomo dell’ormai cronica mancanza di una narrazione comune. Ma non è forse proprio questo uno dei compiti originari e qualifican­ti della politica?

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