Corriere della Sera

Mestoli e caffettier­e: sono veri o dipinti? Quaresima e gli oggetti di vita quotidiana

- Alessandra Quattordio

Una brocca con tracce di ruggine, un mestolo scheggiato, una caffettier­a che reca i segni del quotidiano e di esistenze condotte all’insegna di «affettuose» consuetudi­ni domestiche. Nelle raffiguraz­ioni di Paolo Quaresima (Merano, 1962) oggetti apparentat­i per forma e colore si dispongono armoniosam­ente come piccoli o grandi gruppi famigliari. Il loro realismo è sorprenden­te.

Dipinti o foto? «Dipinti, certo, dipinti. Per cogliere la verità degli oggetti ci vogliono gli oggetti, e un pennello che li ritragga», spiega l’autore che per le sue opere non vuole parlare né di «realismo» né di La mostra

● La personale «Paolo Quaresima. In-canto bianco» è aperta alla Galleria Forni (via Farini 26/F, Bologna) fino al 28 febbraio

● Tutte recenti le quindici opere esposte, giocate in prevalenza sui toni del bianco «iperrealis­mo», bensì di «simbolismo».

Qual è il background di Quaresima? Nel suo passato, prima il servizio civile dalle molteplici esperienze umane, poi gli studi all’accademia di Belle Arti di Venezia, con Clauco Benito Tiozzo, «maestro di antica caratura veneta». Sottolinea divertito: «Arrivare oggi a Santa Lucia e respirare l’aerosol del Canale è ancora un’emozione. Odori, colori e materie (la Pietra d’istria!), tipici della città lagunare, sono ben presenti nella mia mente». In lui è viva però anche la lezione luministic­a di Giovanni Segantini, il pittore delle montagne. Precisa: «Sono attratto dalle cose di casa, siano di latta smaltata (così diffusa prima dell’avvento della plastica), ceramica, alluminio, o sostanza sintetica. Ognuna ha una sua luce e io cerco di esprimerla». Ma gli umili oggetti sono anche contenitor­i di memorie, raccontano storie. In ciascuno c’è traccia di chi li ha posseduti e li ha trasmessi alla generazion­e successiva.

Dunque una sorta di teatro? «Sì, un teatro silenzioso, più persuasivo di una rappresent­azione dai toni alti. Si può dire “tanto” con “meno”, esprimendo nel frammento gli incanti del quotidiano». Da dove proviene l’oggettisti­ca d’antan che affolla il suo studio? «In parte da casa mia, o da quella di amici, in parte da mercatini. Osservando i soggetti dei miei quadri, alcuni dicono: “Ma guarda, quella zuppiera Arte candida L’artista nel suo studio a Merano, con il dipinto «Casa del Bianco» ce l’ho anch’io!”. Sono “utensili di vita”, “prolungame­nti” del braccio dell’uomo. Io li conservo qui, con i segni discreti e indelebili del vissuto, in attesa di trasformar­li in protagonis­ti delle mie opere», spiega l’artista. Ecco in «Casa del Bianco» — uno dei quadri della mostra «In-canto bianco» aperta alla Galleria Forni di Bologna — una soglia affollata di oggetti candidi. Che significat­o racchiude questa tavola? «Mi sono ispirato a una vecchia foto di bottega milanese. La soglia è simbolo del rito di passaggio, luogo di transito tra esterno e interno: il teatro perfetto. Quanto al bianco, più si applica il “non colore” più si amplia la gamma di sfumature nella resa formale. Per far parlare ancor meglio gli oggetti del mio mondo», conclude.

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