«La Triennale con il Piccolo e l’arena al centro di un Parco delle Culture»
Stefano Boeri, nuova guida dell’istituzione milanese. «Al Teatro dell’arte gli oggetti di design»
● Boeri, milanese, 61 anni (nella foto sopra), è architetto e urbanista. Ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano, è stato anche assessore alla Cultura del Comune dal 2011 al 2013. Tra i suoi progetti, il complesso del Bosco verticale E mozionato per l’incarico alla presidenza della Triennale di Milano?
«È una responsabilità entusiasmante — risponde Stefano Boeri, progettista del pluripremiato Bosco verticale, docente al Politecnico e architetto di fama internazionale —. La Triennale più che una espressione culturale, piu che un’architettura mirabile, più che un luogo fondamentale della città è tutto questo insieme: condivido ciò con i consiglieri e i membri del futuro
Comitato scientifico».
Già, il primo banco di prova sono le nomine…
«Si deve aprire una fase di selezione della qualità. Sono scaduti gli incarichi e si deve varare un nuovo Comitato scientifico; è un passaggio importante».
Aspetti che le sono piaciuti, e altri da migliorare, delle ultime Triennali?
«È doveroso pensare alla qualità e al contributo che ha dato il presidente Claudio De Albertis: si è inventato attività fondamentali, come la fondazione degli Amici della Triennale, i donor, la voglia di internazionalità e gli interventi sull’edificio. Si avanza nel solco di scelte positive. Anche quella di affidare a Paola Antonelli la ventiduesima Esposizione è una scelta condivisibile e dà legittimità internazionale alla fondazione».
La Triennale oscilla tra attenzione al solo design, a tutto il regno dell’architettura e anche alle intersezioni con la creatività contemporanea. Ci sono troppe fluttuazioni?
«La molteplicità di campi di interesse va ricondotta a quella particolarissima prospettiva sul mondo che offre Il Palazzo dell’arte, sede della Triennale, progettato da Giovanni Muzio
l’architettura, che è la sua capacità di anticipare il futuro, gli spazi, i paesaggi... Tornare alla centralità dell’architettura significa non rinunciare a teatro, moda, arti creative: tutte sono consustanziali all’architettura. Anche l’edificio di viale Alemagna di Giovanni Muzio è una macchina straordinaria per il futuro; ci sono spazi scenici, altri per scuola, biblioteca, incontri e c’è un intero parco intorno che offre la possibilità di inglobare il mondo vegetale. La Triennale può essere uno dei nodi di un Parco delle Culture, insieme al Piccolo Teatro e all’arena».
Si continuerà con la grande
Expo triennale e le mostre quotidiane?
«Sì, una grande mostra internazionale e le esposizioni aperte a qualunque ora e giorno della settimana. Credo che la Triennale sia il luogo pubblico di cultura più vivace di Milano».
Ci vuole un Museo del design diverso da quanto già ospitato alla Triennale?
«È un tema sul quale dobbiamo lavorare. Penso che gli oggetti della storia del design siano da soli capaci di suscitare l’immaginario: bisogna farli parlare. Questo può voler dire ogni anno una selezione oppure un luogo che a rotazione
I campi d’interesse «L’architettura deve tornare al centro, ma non significa rinunciare alle altre arti creative»
Gli spazi agli sponsor «Nessuna preclusione però non si deve uscire dal perimetro culturale complessivo»
li ospiti per costruire intorno ad essi dei temi, storie. Mi piacerebbe che il Teatro dell’arte fosse un luogo di messa in scena in modo stabile di queste storie. Mi piace pensare a un museo che viva sulla potenza degli oggetti».
Talvolta il rapporto con gli sponsor presenta frizioni: serate a tema, spazi dati in gestione…
«Fatto salvo il rispetto per il profilo culturale dell’istituzione e del luogo, la strada migliore è quella di dare un giusto valore alle proposte. Le polemiche per Palazzo Pitti sono nate perché le presenze sono state gestite contro il valore degli spazi. Qui il valore è alto e quindi ci vuole rispetto. Nessuna preclusione, ma non si deve uscire dal perimetro culturale complessivo, non ci sono spazi disponibili ma disponibilità a gestire situazioni in modo trasparente».
La Triennale deve andare all’estero?
«Moltissimo. Credo che sia un pezzo di storia di questa istituzione farsi conoscere al mondo con mostre ed eventi, e ospitare in modo selettivo quanto prodotto altrove».
La Triennale può essere ancora un luogo di creazione di un nuovo linguaggio architettonico?
«La Triennale è anche una scuola, qui si impara qualcosa. Giovanni Muzio ha costruito un luogo che anticipava il linguaggio e, al contrario di quanto si pensi, è uno spazio potente e flessibile, contemporaneo. Una scuola di linguaggio è già vivere l’edificio. Che nasca da qui un nuovo linguaggio sarebbe una grande ambizione, ci proveremo».
Lei svolge tanti altri lavori: progettista, docente… ce la farà a fare tutto?
«Fatta salva la vita di architetto, darò il mio tempo alla Triennale e quindi ripianificherò le attività con responsabilità ed entusiasmo».