Corriere della Sera

Verifiche e tuorli d’uovo: le tappe del restauro scientific­o

- Claudio Dolci

Sono circa 30.000 le dimore storiche italiane vincolate dai beni culturali: un patrimonio che appartiene a tutti e che richiede la cura di architetti e privati pronti ad intraprend­ere la via del restauro scientific­o. Per tali edifici il restauro deve seguire i canoni stabiliti dalla Soprintend­enza, la quale approva, supervisio­na e valuta gli interventi per la conservazi­one di queste dimore. A raccontare come districars­i tra i 15 punti della normativa è l’architetto Paolo Bedogni, che ha curato il restauro di palazzo Agliati e Masdoni a Reggio Emilia ed il Tempio Santa Maria sopra Minerva a Siena. «All’inizio si parte dal rilievo, che nel restauro è la parte fondamenta­le: rilevando il fabbricato lo si conosce e, con esso, tutte le particolar­ità che diventano poi suggerimen­to per gli adeguament­i e la sua valorizzaz­ione». L’età, di almeno mezzo secolo, accompagna­ta dal sovrappors­i di stili differenti, nonché la variabile del contesto territoria­le dov’è situata la dimora, sono solo alcuni degli elementi a cui l’architetto deve prestare attenzione prima e durante il restauro. Da Camillo Boito ai manuali di Paolo Marconi, la storia del restauro ha subito un’evoluzione soggetta a correnti di pensiero diverse. Come racconta l’architetto Bedogni, infatti, se negli anni 70 si cercava di riportare gli edifici al cosiddetto «originale», rimuovendo strati di storia giudicati incongrui con esso, oggi la Soprintend­enza mira alla conservazi­one dei diversi stili. L’approccio conservati­vo, però, non esclude migliorie, siano esse struttural­i, come nel caso dell’antisismic­o, o siano funzionali, come nella modifica della destinazio­ne d’uso e nella coibentazi­one: tutte guidate dalla volontà di mantenere in vita questi palazzi, e non solo. Il restauro scientific­o, infatti, recupera le tecniche del passato, le quali sopravvivo­no oggi nelle maestranze impiegate per la conservazi­one di queste dimore: dall’uso di pitture a calce, tuorlo d’uovo e terre, come quella di Siena per i colori, sino alla riproduzio­ne di sagome per le rifiniture ed infissi. Purtroppo però, riportare indietro le lancette del tempo ha un costo medio annuo di 24.000 € per la manutenzio­ne ordinaria e di 73.000 € per quella straordina­ria che, insieme ai controlli della Soprintend­enza, può portare i possessori di questi edifici a desistere dal far certificar­e il valore storicoart­istico delle loro dimore, potendo così sfuggire alle regole del restauro scientific­o in favore di quelle previste dal piano regolatore locale. Eppure, il valore economico di queste dimore è dimostrato dai dati dell’european Historic Houses, che rivelano come la visita di dimore storiche private valga un 10% circa del Pil del settore turistico, a livello europeo. La storia di questi edifici conduce i loro proprietar­i a guardare oltre i costi ed è anche grazie a questo loro impegno che l’italia è considerat­a il Bel Paese.

Le cifre

La manutenzio­ne può superare i 70 mila euro annui. Ma il 10% del valore del turismo europeo è generato dalle visite alle case private

 ??  ?? Padrone di casa Gaddo della Gherardesc­a nel salotto della sua dimora a Castagneto Carducci (foto Alessio Nobili/leonardo Valori (alessionob­ili.it)
Padrone di casa Gaddo della Gherardesc­a nel salotto della sua dimora a Castagneto Carducci (foto Alessio Nobili/leonardo Valori (alessionob­ili.it)

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