Verifiche e tuorli d’uovo: le tappe del restauro scientifico
Sono circa 30.000 le dimore storiche italiane vincolate dai beni culturali: un patrimonio che appartiene a tutti e che richiede la cura di architetti e privati pronti ad intraprendere la via del restauro scientifico. Per tali edifici il restauro deve seguire i canoni stabiliti dalla Soprintendenza, la quale approva, supervisiona e valuta gli interventi per la conservazione di queste dimore. A raccontare come districarsi tra i 15 punti della normativa è l’architetto Paolo Bedogni, che ha curato il restauro di palazzo Agliati e Masdoni a Reggio Emilia ed il Tempio Santa Maria sopra Minerva a Siena. «All’inizio si parte dal rilievo, che nel restauro è la parte fondamentale: rilevando il fabbricato lo si conosce e, con esso, tutte le particolarità che diventano poi suggerimento per gli adeguamenti e la sua valorizzazione». L’età, di almeno mezzo secolo, accompagnata dal sovrapporsi di stili differenti, nonché la variabile del contesto territoriale dov’è situata la dimora, sono solo alcuni degli elementi a cui l’architetto deve prestare attenzione prima e durante il restauro. Da Camillo Boito ai manuali di Paolo Marconi, la storia del restauro ha subito un’evoluzione soggetta a correnti di pensiero diverse. Come racconta l’architetto Bedogni, infatti, se negli anni 70 si cercava di riportare gli edifici al cosiddetto «originale», rimuovendo strati di storia giudicati incongrui con esso, oggi la Soprintendenza mira alla conservazione dei diversi stili. L’approccio conservativo, però, non esclude migliorie, siano esse strutturali, come nel caso dell’antisismico, o siano funzionali, come nella modifica della destinazione d’uso e nella coibentazione: tutte guidate dalla volontà di mantenere in vita questi palazzi, e non solo. Il restauro scientifico, infatti, recupera le tecniche del passato, le quali sopravvivono oggi nelle maestranze impiegate per la conservazione di queste dimore: dall’uso di pitture a calce, tuorlo d’uovo e terre, come quella di Siena per i colori, sino alla riproduzione di sagome per le rifiniture ed infissi. Purtroppo però, riportare indietro le lancette del tempo ha un costo medio annuo di 24.000 € per la manutenzione ordinaria e di 73.000 € per quella straordinaria che, insieme ai controlli della Soprintendenza, può portare i possessori di questi edifici a desistere dal far certificare il valore storicoartistico delle loro dimore, potendo così sfuggire alle regole del restauro scientifico in favore di quelle previste dal piano regolatore locale. Eppure, il valore economico di queste dimore è dimostrato dai dati dell’european Historic Houses, che rivelano come la visita di dimore storiche private valga un 10% circa del Pil del settore turistico, a livello europeo. La storia di questi edifici conduce i loro proprietari a guardare oltre i costi ed è anche grazie a questo loro impegno che l’italia è considerata il Bel Paese.
Le cifre
La manutenzione può superare i 70 mila euro annui. Ma il 10% del valore del turismo europeo è generato dalle visite alle case private