L’addio di Folco Quilici: bisogna salvare le balene
Folco Quilici si è spento a 87 anni Regista e esploratore «Un narratore del nostro pianeta»
Folco Quilici, regista ed esploratore, il re dei documentari, si è spento ieri a 87 anni a Orvieto. Era nato a Ferrara. «Un intellettuale moderno che ha saputo dare alle immagini il senso della narrazione del nostro pianeta», così lo ha definito il capo dello Stato Sergio Mattarella.
Folco Quilici era un «intellettuale moderno che ha saputo dare alle immagini il senso profondo della narrazione del nostro pianeta». Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha detto così addio a nome dell’italia al regista, autore, narratore, fotografo, viaggiatore ed esploratore (dunque un intellettuale) che ha imposto l’ambiente, il mare, il viaggio — con la trasparente bellezza e la passione dei suoi documentari — nella cultura diffusa del nostro Paese, e non solo.
Quilici è morto ieri nell’ospedale di Orvieto dopo un breve ricovero: viveva da anni nel suo bel casale a Ficulle, lì a pochi chilometri. Avrebbe compiuto 88 anni il 9 aprile. Era nato a Ferrara nel 1930 e le sue radici familiari annunciavano un futuro da intellettuale. Suo padre Nello, giornalista e convinto sostenitore del fascismo, morì il 28 giugno 1940 col suo vecchio amico Italo Balbo nell’aereo abbattuto a Tobruk. La madre Mimì Buzzacchi era una pittrice autodidatta, sospesa tra atmosfere alla Donghi e suggestioni morandiane. Dunque, la scrittura e l’immagine, la testimonianza e il colore. Impasto che lo indirizzò verso la sua scelta di vita, il documentario.
Cominciò da ragazzo, a 19 anni, con «Pinne e arpioni» girato in Sardegna ma il primo successo fu «Sesto continente», del 1954, documentario sul mare africano: ebbe il prestigioso Premio Speciale alla Mostra del cinema di Venezia di quell’anno. Due anni dopo, con «Ultimo Paradiso», ecco l’orso d’argento al festival di Berlino. «Tikoyo e il suo pescecane» ebbe il Premio Unesco per la Cultura nel 1961 e «Oceano» si guadagnò il premio speciale Festival di Taormina nel 1971 e il David di Donatello nel 1972. Prove della capacità di arrivare al cuore del pubblico grazie a una cifra stilistica immediata, come dimostrò con «L’italia vista dal cielo», 14 film girati in elicottero tra il 1966 e il 1978 e commentati da intellettuali del calibro di Cesare Brandi, Italo Calvino, Guido Piovene, Mario Praz. La Rai li trasmise integralmente nel 1978, uno dei migliori capitoli del servizio pubblico perché descrisse all’italia la propria stessa bellezza senza compiacimenti né formalismi. La serie ebbe successo anche negli Usa, in Germania, in Cina (e il film sulla Toscana ebbe la nomination all’oscar per il miglior documentario nel 1971). Quilici amava il rapporto con l’antropologia, la storia, la filosofia: per girare «Mediterraneo» (13 film) e «L’uomo europeo» (8 film) collaborò con Fernand Braudel e Levi Strauss.
Difficile scegliere altri esempi in una produzione sterminata, sostenuta da un carattere sempre improntato alla positività (in un’intervista a Paolo Di Stefano disse che il tratto principale del suo carattere, e insieme il suo difetto, era l’ottimismo). Ma Quilici era capace di spaziare (mantenendo una sincera capacità di stupirsi che trasmetteva allo spettatore) da «Alla scoperta dell’india» e «Fratello mare» a «Il mondo di Pinocchio», «Botticelli, una seconda primavera» e al magnifico «L’impero di marmo», ispirato a «Marmora romana», del grande orientalista Raniero Gnoli. La sua popolarità si deve a «Geo», un successo personale tra il 1971 e il 1989 su Raitre. Un uomo come lui non poteva non scrivere. Certo, la saggistica («Gli ultimi primitivi» e «Grandi deserti») ma l’avventura narrativa è stata un successo internazionale: da «Cacciatori di navi» a «Cielo verde» o «Tobruk 1940», inchiesta storica sulla morte di Balbo e del padre, «Il mio Mediterraneo».
Da autentico nomade era curiosissimo, anche del cibo. Raccontò di aver mangiato di tutto in «Sì, viaggiare/come, quando, con chi, perché», scritto con Corrado Ruggeri. Ricordava sempre che la «Pontinesia», il mare delle Isole Pontine, era tra i più belli del mondo. Amava profondamente la moglie Anna, il figlio Brando e considerò un grande regalo della vita l’arrivo del nipote Corso. Da vero viaggiatore, sapeva dove piantare le radici.