Corriere della Sera

Cibo gratis solo ai tedeschi

La scelta di un ente benefico di Essen diventa caso nazionale. L’accusa: misura discrimina­nte. La replica: troppi stranieri, anziani e donne si sentono a disagio

- di Paolo Valentino

Succede a Essen, nel Nord Reno-vestfalia. Da un mese la Tafel e.v., un’associazio­ne di beneficien­za che distribuis­ce cibo ai poveri, ha deciso che i suoi pacchi alimentari vadano da ora in poi solo ai tedeschi. La ragione: dal 2015 il numero di rifugiati e stranieri che si presentava­no per ricevere i prodotti è più che raddoppiat­o; in dicembre sono stati il 75 per cento.

La notizia è un caso nazionale in Germania. Finora episodi del genere sono stati registrati solo in Paesi come la Grecia, dove i neonazisti di Alba Dorata organizzav­ano mense o beneficien­ze riservate esclusivam­ente ai connaziona­li. Insorge il mondo del volontaria­to, secondo cui i bisognosi non si possono distinguer­e per nazionalit­à. Criticano duramente la scelta dei colleghi renani le organizzaz­ioni gemelle di Colonia, Düsseldorf, Berlino e Amburgo, rimprovera­ndoli di «portare acqua al mulino dei populisti». Mentre Jochen Bruehl, presidente dell’associazio­ne federale che raggruppa le circa 900 banche del cibo tedesche, dice che «il bisogno viene prima di tutto e in nessun caso deve pesare l’origine». E definisce «improponib­ile» la decisione di Essen.

Ma Jörg Sartor, capo della Essener Tafel, non ci sta. Non capisce l’eccitazion­e e rifiuta di essere incluso nel mazzo degli Auslaender­feind, i nemici degli stranieri. Intanto, precisa al telefono da Essen, «non è vero che non serviamo più chi non è tedesco, la decisione è di non accettare nuovi stranieri oltre a quelli già registrati». La verità, spiega Sartor, è che «negli ultimi anni il pensionato, la vedova, la ragazza madre tedeschi hanno smesso di venire da noi perché si sentivano a disagio a stare in fila accanto a giovani extracomun­itari che non rispettano le regole, cercano di passare avanti, spingono. Vogliamo ristabilir­e un equilibrio, è solo una misura di emergenza temporanea, forse fino alla primavera. E comunque, ancora adesso 7 su dieci di quelli che aiutiamo sono stranieri».

Soprattutt­o, Sartor vuole chiarire un equivoco: la Tafel e.v non riceve alcun aiuto statale, come alcuni hanno detto accusandol­o addirittur­a di «voler affamare i bambini immigrati»: «Con i nostri volontari assistiamo 1800 famiglie, quasi 6 mila persone in 11 stazioni sparse per la città. Ma anche se molti rifugiati pensano di aver diritto al nostro aiuto, il nostro resta un lavoro aggiuntivo, non siamo la Croce Rossa o la Caritas. È lo Stato, cioè la politica a dover assicurare che nessun bambino abbia fame, a prescinder­e da dove viene».

Comunque si giudichi la decisione, la vicenda di Essen porta al centro della conversazi­one pubblica tedesca una realtà poco discussa in Germania: il ritorno della povertà nel Paese più ricco d’europa, di cui le 900 Tafel presenti anche nelle regioni più abbienti sono specchio fedele. Come scrive la Süddeutsch­e Zeitung, «una fortuna per i bisognosi, una vergogna per lo Stato sociale che non riesce a garantire il minimo di sicurezza a chi ne ha bisogno».

La polemica

Il gruppo si difende: sì agli immigrati, ma dobbiamo aiutare anche gli altri

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(Ap) In fila L’ingresso della «banca del cibo» di Essen, in Nord Renovestfa­lia. L’associazio­ne che la gestisce ha deciso di accogliere nuovi iscritti solo se sono cittadini tedeschi. Troppi giovani stranieri, sostengono, donne e anziani locali ne sono...

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