Le ultime parole al figlio Brando «Ora una battaglia per le balene»
Pareva non dovesse morire mai. Un pomeriggio in Africa attraversò un ruscello trasparente, si spogliò, si immerse, e si trovò circondato da un nugolo di zanzare: la crisi di malaria fu tremenda, ma ovviamente sulla sua strada c’era sempre un guaritore a salvarlo. Nelle acque di Capo Gelidonya, in Turchia, restò senza ossigeno mentre stava esplorando un relitto, e fu soccorso da un sub americano. Un mattino alle Maldive fu dato per disperso: dopo un’immersione non lo trovavano più, una corrente sottomarina l’aveva trascinato lontano; lo rintracciarono di notte, ustionato ma vivo. Folco Quilici non ha avuto una vita facile; ma ha avuto una vita bellissima. Il padre, Nello, direttore del Corriere padano, morì sull’aereo di Italo Balbo, abbattuto dal fuoco amico nel cielo di Tobruk; la notizia gliela riferì un giovane collaboratore di papà, Michelangelo Antonioni, il futuro regista. Sfollato in Val Brembana durante la guerra, il
Viaggiatore
Ha insegnato a generazioni di italiani il gusto di guardare oltre l’orizzonte. Per questo gli siamo tutti un po’ debitori
piccolo Folco girava su una bicicletta cui aveva legato un tricolore, che gli evitò di essere fucilato da partigiani e fascisti; divenne amico di Pjotr, un cosacco nostalgico dello zar e odiatore dei bolscevichi, cui ha dedicato un romanzo. Era legatissimo alla Ferrara umida e nebbiosa in cui era nato, ma il suo orizzonte è sempre stato il pianeta. Non c’era landa in cui non fosse stato, dalla Lapponia alla Terra del Fuoco. Poteva passare con la massima tranquillità dall’hilton di Los Angeles, città che adorava, a una capanna di fango in Congo. Fu amico di Zhou Enlai e di certi capitribù boscimani, pigmei, aborigeni. Aveva il corpo pieno di cicatrici come un esploratore ottocentesco.era un uomo sempre allegro, mai visto di cattivo umore. Le sue ultime parole al figlio Brando sono state: «Bisogna fare una grande battaglia per salvare le balene». Considerava il mondo come il suo cortile di casa, e la sua casa di campagna in Umbria come il mondo. Si immergeva nel Mar Rosso quando Sharm el Sheikh era ancora un villaggio beduino. Addomesticò uno squalo tigre per girare un film sceneggiato da Italo Calvino sull’amicizia tra un pescecane e un bambino. Adorava Braudel, detestava Cousteau: «Un presuntuoso». Si rammaricava di non essere mai stato in Irlanda. Ha insegnato a generazioni di italiani il gusto di guardare oltre l’orizzonte. Per questo gli siamo tutti un po’ debitori.