TRA L’ANONIMATO ONLINE E IL PERICOLO DI UNA VENDETTA 2.0
Una cosa è il mutamento del concetto di anonimato online che, come dimostra l’entrante Regolamento europeo sulla protezione dei dati, è da considerarsi praticamente superato in virtù dei dati associati alla nostra navigazione. Un’altra cosa è il modo in cui trattiamo un’informazione tanto delicata quanto semplice da reperire: nome e cognome di qualcuno e il modo di contattarlo. Samantha Cristoforetti ha provato a farlo con ratio. Qualche giorno fa, ha raccontato di aver segnalato un’intervista che in realtà non le era mai stata fatta e di aver assistito alla rimozione della pagina senza alcuna spiegazione ai lettori. Nel sottolineare la gravità dell’accaduto, l’astronauta non ha nominato il portale coinvolto. Anche se gli utenti ci sono poi arrivati da soli, lei ha fatto la scelta migliore. Il meccanismo di ricerca, individuazione e contatto collettivo e iracondo di chi ha sbagliato è rodato. «Il capro espiatorio è sempre servito per espiare le proprie colpe. Sui social chi si scaglia contro gli altri fa leva, volente o nolente, su questo meccanismo e gode di una capacità di propagazione e aggregazione unica», spiega lo psicoterapeuta Alberto Rossetti. Spesso, inoltre, la gravità dell’atto commesso non è direttamente proporzionale alla reazione. Un’impiegata la cui unica colpa è di essere apparsa nel video di un buffo ballo e una persona che ha incitato a violenza e razzismo accusando un ignaro passeggero al suo fianco di non aver pagato il biglietto del treno possono finire nello stesso tipo di spirale in cui carnefici e vittime si confondono e sovrappongono. Il secondo merita l’onda di insulti, viene da pensare. Ma in un contesto in cui il crescente indebolimento dell’anonimato, e la doverosa collaborazione delle piattaforme, aiutano le autorità ad applicare le norme, diffamazione o procurato allarme contro chi diffonde falsità, ad esempio, dobbiamo contribuire tutti ad arginare il farsi giustizia da soli 2.0.