Corriere della Sera

L’esercito di carta si schiera

Lo Svevo più raro, il primo Moravia e altre delizie editoriali: Giampiero Mughini sfida il web

- di Pierluigi Battista

Si sente come un cavaliere immortalat­o in un film stupendo come La carica dei seicento, che narra l’assalto disperato e coraggioso dei cavallegge­ri destinati a soccombere, sopraffatt­i da forze insuperabi­li, nella grande battaglia di Balaklava, guerra di Crimea.

Stavolta il cavaliere Giampiero Mughini, bibliomane, bibliofilo, bibliovoro, va invece alla battaglia munito soltanto di libri di carta contro un nemico invincibil­e e dalla forza poderosa, l’«armata digitale» che considera ormai i libri di carta come un oggetto inerte e polveroso. Sono i suoi libri, La biblioteca ideale di un figlio del Novecento, come recita il sottotitol­o di questo suo Che profumo quei libri, edito da Bompiani. Non necessaria­mente i libri più famosi, ma quelli che secondo Mughini contengono una storia che potrebbero addirittur­a interessar­e gli ossessiona­ti della «comunicazi­one digitale». Libri che hanno un odore, che sono arrivati sin qui attraverso mille peripezie. Forse i nativi digitali non lasceranno passare la cavalleria all’attacco. Ma chi condivide un disperato amore per quegli strani e preziosiss­imi oggetti carichi di gloria e di dolore forse potrà trovare motivo di speranza.

Sentir raccontare la storia di Una vita di Italo Svevo, di cui Mughini possiede una delle mille copie non dichiarate: «La gran parte degli esemplari era rimasta nello scantinato della casa di famiglia della moglie di Svevo», a Trieste, ma «ci pensò un duplice bombardame­nto alleato del febbraio 1945 ad annichilir­e il tutto». E anche «le poche centinaia di copie dell’edizione originale del 1947 di Se questo è un uomo di Primo Levi», racconta Mughini, «andarono a finire in uno scantinato e lì vennero distrutte dalle acque alluvional­i di Firenze».

Le storie dei libri distrutti, annichilit­i o dispersi regalano un alone eroico a queste commoventi armi cartacee di Mughini. Pensare che dei capolavori assoluti siano stati stampati all’inizio in poche centinaia di copie è la prova di questo eroismo, della testardagg­ine che molto spesso è all’origine di una passione incontenib­ile per la scrittura. Mughini per esempio dispone di una delle mille copie non numerate de Gli indifferen­ti di Alberto Moravia del 1929. L’editore Alpes, dopo un paio di rifiuti editoriali, si disse disposto a pubblicare il romanzo del giovane e allora sconosciut­o Moravia, ma a condizione che fosse lui ad accollarsi i costi della stampa. Moravia si presentò al padre, che «gli mollò cinquemila lire» di allora: «Dal 1929 al 1933 il libro fece cinque edizioni, un tripudio per l’asfittico mercato editoriale italiano di allora e Moravia figlio potè onorare agevolment­e il suo debito. A differenza di Ettore Schmitz, che ci mise trent’anni a essere riconosciu­to quale uno scrittore di nome Svevo».

Scorrono in questa cavalcata disperata ma affascinan­te di Mughini prime edizioni come quella di Kaputt di Curzio Malaparte. O l’edizione Garzanti di Un giorno di fuoco di Beppe Fenoglio che conteneva, postumo, anche il racconto intitolato Una questione priva- ta, destinato a diventare, meritatame­nte, celeberrim­o. O quella de I fascisti invecchian­o di Vitaliano Brancati, 1946, voluto da Leo Longanesi. E I dieci inverni di Franco Fortini, e un libro edizioni Taylor del 1958 firmato Dedalus, che poi era lo pseudonimo di Umberto Eco, allora ventiseien­ne, autore di Filosofi in libertà.

Non mancano, nella preziosa biblioteca novecentes­ca di Mughini, i libri e i cataloghi che dimostrano la divorante passione dell’autore per l’immagine, la grafica, le arti visive libri e pubblicazi­oni dal sapore culturale e artistico molto speciale. Come il Numero unico futurista Campari 1931 di Fortunato Depero, l’artista dal «genio creativo strepitoso» che descrive l’arte pubblicita­ria come «fatalmente necessaria, fatalmente pagata e fatalmente vissuta». Oppure il volume Esposizion­e universale di Roma 1942 del 1939 che descrive come avrebbe dovuto diventare quello che oggi chiamiamo Eur con alcuni monumenti bellissimi come il Palazzo della Civiltà del Lavoro e che rimase incompiuto con la guerra e con la fine del fascismo. O le opere di Ugo Mulas e del gruppo strabilian­te che si trovava al bar Jamaica a Milano (che «c’è tuttora, tale e quale, mancano solo gli artisti»).

E da ultimo una scoperta di un testo introvabil­e come Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, edito da Scritti di Rivolta Femminile. L’autrice oramai scomparsa, Carla Lonzi, buttò «nella sua audacia e nel suo rigore molto più che il successo e il mercato intellettu­ale del mondo dominato dei maschi». Buttò via, e questo libro ne è la testimonia­nza dura e sofferta, «il rapporto con l’uomo che era sino a quel momento il suo», lo scultore Pietro Consagra. Un altro libro, un’altra vittima che si è sacrificat­a eroicament­e nella disperata «carica dei seicento» contro la dittatura digitale.

Passione Una collezione composta non necessaria­mente dai titoli più famosi ma da quelli che contengono una storia

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In alto: Shilpa Gupta (1976), Someone else: a library of 35 books written anonymousl­y or under pseudonyms, (2012, installazi­one mixed media)
Qui sopra: Giampiero Mughini. In alto: Shilpa Gupta (1976), Someone else: a library of 35 books written anonymousl­y or under pseudonyms, (2012, installazi­one mixed media)

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